I vincitori del premio Slow Food

 

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L’annuncio dei vincitori del premio Slow Food:
Nicolai Todesco ed Elena Fasiolo;
tra loro la fiduciaria Slow Food Cristina Marcuzzi

 

 

CONVIVIUM SLOW FOOD MANIAGO, da diversi anni partner di LAMA & TRAMA, ha premiato con giudizio di pari merito due racconti che richiamavano nella narrazione il valore dei prodotti enogastronomici.

 

 

 

 

LO SPELUCCHINO  ROSSO

di Nicolai Todesco

Istituto Comprensivo Maniago

Eccoti lì.

Il posto perfetto: una vetrina per raccontare la tua vita. In mezzo a tutti gli altri, brilli di una luce tutta tua. Sarà per il colore rosso del  manico, intenso come il fuoco, come il sangue, come uno splendido tramonto d’inverno. Sarà per la lama seghettata, luccicante,  scintillante come una stella nel cielo. Ne hai di storie da raccontare! Hai iniziato il tuo viaggio in tasca del mio bisnonno un giorno di settembre. Stavi su  un piroscafo diretto in America a cercar fortuna, così dicevano gli amici.Il bisnonno ti aveva costruito con le sue stesse mani in una piccola officina vicino a casa. A quel tempo lui era un semplice apprendista coltellinaio, niente più che un garzone di bottega. Il lavoro lo appassionava: trovava bello poter creare coltelli sempre diversi usando il ferro, o più raramente l’acciaio, e poterli poi finire con manici di legno, di corno o anche di osso.Si chiamava Bruno: aveva allora non più di quindici anni e una gran voglia di aprire un’officina tutta sua. Il sogno era grande, ma i soldi erano pochi. Certo se avesse continuato a vivere a Maniago, non sarebbe mai riuscito a realizzare il suo desiderio.Le cose cambiarono, improvvisamente, quando un giorno ricevette una lettera da New York. A scrivergli era Luigi, il suo più caro amico che un anno prima era partito da emigrante come tanti. Luigi raccontava di come la vita fosse bella in America, di quante possibilità c’erano di far fortuna per chi aveva davvero voglia di lavorare.Il bisnonno dopo una lunga traversata dell’Oceano Atlantico era approdato in Nord America nella città di New York. Lì ad attenderlo c’era Luigi che lo ospitò per qualche giorno finché non avesse trovato un lavoro. Il lavoro non veniva a cercare il bisnonno, ma era lui a doverlo trovare. Così cominciò a chiedere in giro se qualcuno aveva bisogno di manodopera. Trovò un posticino al mercato generale. Il suo compito era quello di sistemare nelle cassette la frutta e la verdura dei clienti, gettando i vegetali  ammaccati nell’immondizia. Era un insulto alla povertà,  lui sì,  che ne sapeva qualcosa.Iniziò forse per scherzo ad intagliare delle piccole forme da quella frutta e verdura quasi marcia . Cosi un giorno insieme all’ordine di 2 kg di carote, di 5 kg di patate, di 6 kg di pomodori e 2 cappucci c’era una stella alpina ricavata da una patata  dall’aspetto pressoché  cadaverico. Ed era così che ogni cassetta veniva accompagnata da un  piccolo capolavoro, un rapanello diventava un raperonzolo di montagna , una carota un bocciolo di rosa,  un melone un girasole, un limone una primula una rapa rossa un giglio,  era  il suo modo di ricordare casa.

La vigilia di Natale arrivò un uomo dalla corporatura robusta, con un’aria minacciosa. Insospettito e incuriosito da quelle piccole opere d’arte chiese chi era quella persona che poneva la frutta e la verdura intagliata in quel modo nelle sue casse. Il nonno timidamente alzò la mano e spiegò che le sue opere provenivano dal suo piccolo tesoro, il coltellino rosso “lo Spelucchino” ed era un modo semplice per rendere vive delle cose ed oggetti che erano ormai morti. Fu così che il bisnonno andò a lavorare in uno dei più grandi e famosi ristoranti di Manhattan a fianco di quell’uomo tanto burbero all’apparenza quanto umano. Ogni piatto era accompagnato da una composizione  floreale assai apprezzata dalla clientela. Ogni tavolo era un tavolo speciale. C’era il tavolo romantico con un bouquet di calle costruito con il guscio dei finocchi o quello per i bambini sul quale si alternavano  dei  simpaticissimi  topolinimelone  a delle cavolfiore pecore. Si potevano trovare anche l’anguria gufo, l’ananascivetta  o addirittura la melanzana pinguino in compagnia della zucchinabruco. E poi a Natale  non mancava mai un magnifico Albero di cavolo romano.

Ed è così che oggi grazie al bisnonno e il suo spelucchino  rosso la mia clientela può conoscere la storia del mio ristorante  voluto con la caparbietà e la semplicità di un uomo umile. Da piccole e semplici  cose possono nascere grandi cose.

 

 

IL CAVATAPPI MUTO

di Elena Fasiolo

Istituto Comprensivo di Buja (Udine)

“C’é più confusione del solito oggi, magari hanno organizzato una festa. Uh…oggi è Natale… dai che forse ci sarà una bottiglia da stappare! EVVAI!! Speriamo proprio, così almeno esco per un po’ da questo buio cassetto della cucina… sono ormai almeno quattro mesi che sono fermo qui dentro!” pensò il cavatappi tutto eccitato. Aspettò, aspettò e aspettò ancora, con pazienza e fiducia. Finalmente, ad un tratto, sentì delle voci che chiamavano a tavola tutta la famiglia.

“Dai che ci siamo… Dovete bere il vino, o qualsiasi altra bevanda, basta che sia qualcosa da stappare” pensò tra sé e sé il cavatappi come per rivolgersi alla famiglia.

Ad un tratto la padrona di casa, una signora molto anziana che aveva l’entusiasmo e la grinta di una ragazzina, disse: “E il vino?”.

Dopo questa domanda il cavatappi esplose di gioia ma dovette trattenere le urla di felicità. No, non lo avrebbero sentito. Gli umani non possono sentire i cavatappi che urlano, ma la confusione avrebbe sicuramente causato una scossa alla casa e avrebbe rovinato tutto! Così rimase zitto e immobile. La signora anziana aprì il cassetto e tirò fuori il cavatappi facendogli l’occhiolino, ma lui pensò che lo avesse fatto a qualcun altro e così non vi badò troppo. ll cavatappi aveva una faccia raggiante che però si trasformò ben presto quando vide la data della bottiglia di vino: era del 1968!

“Questo non promette nulla di buono” pensò preoccupato. Suo nonno, il più saggio dei cavatappi, aveva raccomandato a tutto il “cavillaggio” di non avvicinarsi alle bottiglie vecchie, perché molto spesso i loro tappi di sughero sono piuttosto rovinati e non si riesce a toglierli interi.  Gli umani ci provano lo stesso ma non ce la fanno e così, dopo averlo frantumato, iniziano a toglierlo pezzettino per pezzettino con il povero cavatappi che subisce molte deformazioni. Per esempio  il papà del giovane cavatappi e quindi il figlio del grande saggio ha il corpo storto e così nessuno più lo usa né lo aggiusta. “A  me toccherà la stessa fine del mio papà” ipotizzò. La signora anziana iniziò l’operazione di apertura della preziosa bottiglia e come previsto il tappo cominciò a sbriciolarsi. “Oh no! Lo sapevo!! Addio mio bel corpicino!” esclamò abbattuto  il cavatappi. L’anziana cominciò a togliere i pezzettini come lui aveva sospettato, e piano piano il corpo del povero cavatappi prese  a curvarsi e a storcersi.

“Ahiaaaaaaa !!! Aiuto ! Mi fa male ! ! Quando ho detto: Qualsiasi altra cosa basta che sia qualcosa da stappare, era solo per poter uscire da quel cassetto, non intendevo proprio ogni cosaaaaaa ! ! ! ! Aiaaaaa!!” gridò il povero e ormai curvo cavatappi. E la signora continuava a ripetere: “Scusa, scusa,scusa…”. Il cavatappi non capiva con chi stava parlando ma pensò che sicuramente non si stava rivolgendo a lui.

Dopo che la signora finì di togliere gli ultimi pezzettini del tappo di sughero  appoggiò il cavatappi sul tavolo e dato che ci teneva molto a quel cavaturaccioli perché era nuovo e andava molto bene, iniziò a sistemarlo. Il cavatappi soffriva parecchio però era, allo stesso tempo, molto felice perché lo stavano aggiustando. “Ahiaaaa! ! ! Ma grazieeee! ! ! ! Ahiaaaa! ! ” urlava il cavatappi  e come per magia la signora anziana rispose:  “Sì, lo so che ti fa male! Mi dispiace! Ma  vedrai che poi starai meglio!”.

Il cavatappi, collegato l’occhiolino  e le scuse della signora, ammutolì. Terminato di aggiustarlo, la signora lo ripose nel cassetto. Da quel momento il cavatappi rimase  per sempre con un grande interrogativo e con un mistero: “Ma quella signora riusciva a sentirmi?”. E fu così che il cavatappi non aprì mai più bocca.

 

 

 

 

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