1° classificato – cat. Scuola secondaria 1° grado Regione Friuli Venezia Giulia

Caterina Lavagnini premiata da Francesco Guazzoni

Caterina Lavagnini premiata da Francesco Guazzoni

 

 

FANTASMI – racconto

Una scrittura ricercata ed uno stile maturo per un racconto struggente ispirato al film francese La chiave di Sara di Gilles Paquet-Brenner. Un monologo straziante sull’orrore del ricordo del rastrellamento degli Ebrei a Parigi e delle morti famigliari, scritto come un affresco biografico di vite ed animi lacerati. (dal Verbale di Giuria)

 

 

FANTASMI

di

Caterina Lavagnini

Istituto Comprensivo Divisione Julia – Trieste

 

Trieste, 27 gennaio 2014

Aula Magna dell’Istituto Comprensivo, ore 8:00. Nella Giornata della Memoria, si propone alle classi terze della Scuola Secondaria la visione del film “La chiave di Sara” (Francia 2010). “E così scrivo questo per te, Sarah. Quando una storia viene raccontata, non può essere dimenticata”.

 

Parigi, 27 gennaio 1966

Tutto è guerra. Dentro di me è guerra, intorno a me è guerra. I miei occhi vedono solo orrore, dolore nero, muta sofferenza. Sono riuscita a evadere dal campo di concentramento, ma non posso fuggire dalla mia vita. Posso agitarmi, contorcermi, ma non servirà a niente. Sono un uccello in trappola. Sono imprigionata nella mia stessa vita. Mi alzo alla mattina e penso a Michel; mi addormento con il pensiero di Michel che veglia su di me; pranzo e guardo il cibo che Michel non mangerà …

Sono un’ombra: Sarah è chiusa in un armadio buio. Sarebbe diventato grande, saremmo andati al mare come ogni estate. Ma quale estate? I giorni scorrono lenti, prolungando un inesorabile inverno senza fine. Che colori ha l’estate? Non Io so più. L’estate può essere una stagione maledetta, se l’afa ti spegne la vita.

Quante vite all’ultima corsa al Velodromo d’Inverno, nel luglio 1942. Il poliziotto entrò nella nostra casa, violò le stanze, ci rubò tutto quanto: i giochi, la voce, anche le lacrime.

Vorrei che fosse ancora in questa stanza, alle mie spalle, e mi trafiggesse con una lama tagliente: non farebbe così male. Ho sentito tante volte l’odore del sangue, ho visto la carne che si strappa, ho udito lo scricchiolio dell’osso che si incrina sotto la forza della mano del boia, ho sfiorato il liquido scarlatto che sgorga da un taglio netto. Niente fa più male che deludere qualcuno. La disperazione è un anestetico. Miche) si fidava di me. Per amor mio si era infilato in tasca la paura e aveva accettato di giocare con i fantasmi. Rivedo con gli occhi appannati occhi d’angelo smarrito.

Mi ricordo: aveva gli occhi spenti. Occhi che raccontano una fiaba finita male.

Si fidava di me e io ero sicura che ci saremmo svegliati da quell’incubo.

Voleva diventare capitano di una nave.

Si fidava di me.

Non avrebbe dovuto.

Si fidava di me.

Gli volevo tanto bene.

Si fidava di me.

Dovevo morire io.

Era solo un bambino ingenuo di cinque anni, troppo piccolo per diffidare, troppo ingenuo per capire.

Occhi blu, profondi come il mare, risata contagiosa.

Non l’ho mai più sentito ridere.

Non ho riso più neanche io.

Se sorridessi, gli farei un torto, e abbiamo già sofferto abbastanza.

Sono tutti volati via: mio padre, mia madre, i miei nonni, i miei amici … mio fratello.

Voleva diventare capitano di una nave, ma non aveva ancora avuto il tempo di imparare a nuotare. Avevo solo dieci anni, e avevo deciso di lottare. Ho sposato un uomo meraviglioso, ho un figlio meraviglioso. Andiamo al mare, in campagna. Si divertono. Ridono. Si sforzano di lenire la mia ferita che ha un nome: Michel.

Mi sono sposata in bianco, colore della sua pelle chiara. Insieme al mio bambino ho fatto visita all’oceano, ho lasciato in ricordo una lacrima amara che si è persa in un istante in quella distesa uniforme di acqua blu, come gli occhi di Michel.

Mi ricordo il giorno in cui sono fuggita dal lager e ho attraversato di corsa un campo di grano dorato, come i capelli lisci di Michel. Tutto mi parla di lui. La mia anima pura di bambina si è macchiata per sempre. I giorni non finiscono mai, le notti incontro solo fantasmi.

Perché non riesco a ridere? Perché faccio fatica persino a piangere? Perché Sarah non c’è più?

Torna, poliziotto con la tua spessa divisa, torna e fa’ ciò che devi! Sfonda la porta, non ti servono chiavi … Prendi una lama, una qualsiasi: un coltello, delle forbici, un tagliacarte, qualsiasi oggetto tagliente. Scardina l’armadio dei ricordi e fa’ uscire tutti i fantasmi.

Poi, con la stessa lama, scava quest’anima distrutta.

Lascia un commento