Racconto 2° classificato – Scuola secondaria di 1° grado

Il racconto, scritto in stile scorrevole e con una notevole dote di freschezza, parte da un’esperienza concreta e possibile per un bambino e intesse una serie di interessanti richiami alla vita scolastica, alla dimensione familiare, indugiando su paure, ansie, difficoltà che ogni ragazzo attraversa per crescere. La forma vivace, la sapiente costruzione delle sezioni narrative, la tensione che attraversa il racconto lo rendono senz’altro meritevole del secondo premio. (Motivazione del premio)

L’INGENUITÁ ADOLESCENZIALE – Mai fidarsi delle lame

di Lucrezia Carroccia

Istituto Don Bosco – Padova

Se quella volta non l’avessi fatto… Se quella volta non l’avessi toccato… Se quella volta avessi ragionato…

Una lama, la grande lama di un grande coltello.

Mamma lo aveva detto:«Aspetta un minuto che ti do una mano!». Quel giorno la mano ce l’ ho messa io.

Che ingenuo!… Che sciocco!… Ero talmente goloso che neanche un minuto potevo aspettare.

La testardaggine mi ha fatto perdere un dito. Una semplice bistecca mi ha fatto perdere un dito. La fame mi ha fatto perdere un dito. Se avessi aspettato mamma non sarebbe successo. Se non avessi osato non sarebbe successo.

Era l’ultima ora di scuola, tecnologia era la materia e le lame erano l’argomento. Abbastanza interessante. Il professore di solito ci faceva addormentare sul banco; era così bassa e cantilenante la sua voce che in meno di cinque minuti si sprofondava in una noia e in un sonno tremendi. Quella volta fu diverso: l’argomento mi interessava particolarmente e questa viva attenzione, che a dirla tutta non mi ha mai caratterizzato, mi permetteva di seguire la lezione quasi con passione, quasi. «Attenti ragazzi miei», diceva Rossi, «non fidatevi mai delle lame, sono compagne di sventure!». La solita voce goffa e rotonda questa volta mi aveva messo in guardia.

Suonata la campanella, sono corso a casa.: a dire la verità non stavo affatto correndo, è che avevo fretta e volevo arrivare a casa molto velocemente. Il cielo sembrava sempre più scuro e a vista d’occhio si stava preparando un gran temporale. Cominciai ad accelerare il passo, non volevo bagnarmi. Purtroppo ha cominciato a piovere a catinelle, gocce di pioggia scendevano fitte e mi bagnavano capelli vestiti e guance… le guance mi sembravano infuocate, le sentivo rosse come pomodori e ad ogni goccia percepivo un dolore, un fastidio che si ingrandiva e poi scompariva, che bruciava e poi si smorzava. Sentivo che ogni goccia mi tagliava il viso, come fosse un coltello con una lama affilatissima. Mi bruciava e tagliava, mi bruciava e tagliava e avanti così…

Magari era tutta un’invenzione, una sensazione, ma io lo percepivo sempre di più, sempre di più. Le lame mi invadevano la mente, continuavo a pensare alla lezione di tecnologia, all’avvertimento di Rossi: mi sentivo impazzire. Avevo come una sensazione, un’angoscia che mi torceva lo stomaco e mi chiudeva la gola.

Quando arrivai a casa cominciai immediatamente i compiti: mi sedetti sul mio comodo sgabello, sfilai dallo zaino astuccio, diario, libri e iniziai: antologia, storia, aritmetica e tecnologia… Quando vidi quest’ultima scritta sulla pagina del diario presi quasi uno spavento, avvertii nuovamente quell’angoscia che mi stringeva lo stomaco qualche minuto prima.

Decisi di svolgere prima le altre materie e di lasciare le lame (immaginavo fosse quello l’argomento) per ultime.

Speravo ci volesse più tempo per risolvere le espressioni, per scrivere un articolo di cronaca, per rispondere a otto domande riguardanti la prima guerra mondiale, ma in quel pomeriggio così strano il tempo sembrava essersi fermato: stetti anche ad osservare l’orologio appeso alla parete per parecchi minuti, ma le lancette non si muovevano, almeno così mi parve, non ticchettavano, niente…

Decisi di prendere in mano tecnologia: esercizio tre pagina 33 del volume B: questo diceva il diario. La consegna dell’esercizio era: “Parla di un episodio in cui hai avuto a che fare con una o più lame e descrivi le in tutte le loro caratteristiche”. Io non avevo mai avuto a che fare con delle lame, almeno non in modo particolarmente interessante.

Rimasi a riflettere un bel po’ sull’argomento; chiesi anche a mamma, ma nessuna idea mi convinceva; avrei potuto inventare, ma io non sono bravo a tirar fuori cose così, dal nulla. Mi sono scervellato, lo giuro, ma niente. Mamma chiamò per cena, c’eravamo solo io e lei perché papà era al lavoro e Lavinia era dalle sue amiche o dal suo fidanzato, Jace o come si chiama. Il pasto era filetto di sorana, la mia preferita, con contorno di patate al forno raccolte dalla nonna, in giornata, nell’orto dietro casa… Una cena davvero con i fiocchi!

Bene, mancavano solo i bicchieri e le posate. Mamma li stava tirando fuori dalla lavastoviglie… mi diede prima il bicchiere, poi la forchetta e poi mi disse:«II coltello normale è ancora sporco, ho solo quello per i salumi. Te Io do, però aspetta a tagliare la carne che il coltello ha una lama affilatissima… ti aiuto io!». Annuii, ma tanta era la fame, tanto ero tentato di provare quel nuovo coltello che non riuscii proprio ad ubbidire alla mamma; non che io la ascoltassi sempre anzi, di solito facevo di testa mia. Ma quella sera mamma proprio non la sentii, volevo tagliare la carne da solo, come fanno gli adulti che non hanno mai graffi o tagli; anch’io volevo essere come loro!

Mi tornarono in mente le parole di Rossi:«Non fidatevi mai delle lame, sono compagne di sventure!». Non riuscivo a cacciarle dalla mente, era come se mi stessero avvertendo, come se non volessero che io prendessi in mano quel coltello… E avevano ragione, ma io lo capii troppo tardi, davvero troppo tardi!

In un attimo sentii un dolore tremendo, insopportabile. Il sangue si stava spargendo ovunque. L’ambulanza arrivò in meno di cinque minuti, ma nel frattempo io avevo già gridato all’inferno. Mi sono maledetto per quel giorno, per quella volta in cui tutto era così strano, in cui tutto mi stava avvertendo.

In pronto soccorso gli infermieri mi hanno portato in una sala piccola e poco illuminata: non distinguevo molto bene le persone, ma tra tutti gli infermieri e i medici che valutavano la mia situazione io riuscii a notare

mia sorella, che piangeva e si stringeva a qualcun altro che doveva essere il suo ragazzo.

Quando mi fu iniettata l’anestesia, cominciai a capire sempre meno le parole che fluttuavano nell’aria; volevo sapere cosa mi stava succedendo, ma non capivo niente se non una cosa, una frase che disse il medico: “Un dito tagliato è davvero urgente!”

Ah, okay. Io mi ero tagliato un dito e non sentivo il minimo dolore, forse era per l’anestesia, quasi me ne dimenticavo. Le ultime parole che capii furono quelle di mia madre:«Ora hai qualcosa da scrivere per il compito di tecnologia…».

Livia Cappella, dirigente scolastico dell' istituto comprensivo di   Maniago, premia Lucrezia Carroccia

Livia Cappella, dirigente scolastico dell’ istituto comprensivo di Maniago, premia Lucrezia Carroccia

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