OCCHI SENZA LUCE

 Di Sara Raimo

ISTITUTO C. DIVISIONE JULIA –Trieste

 Sotto il flash abbagliante della macchina fotografica, il bambino si dedicava imperterrito alla sua opera. Talvolta sollevava il volto scavato, abbozzando un sorriso un po’ spento.
“Cosa ci faceva con un coltello e dei bastoncini? Naturalmente gli servivano per sopravvivere”.
Il giornalista si avviò verso l’hotel e rimase con questo pensiero inchiodato nella mente fino al giorno seguente. Quel sorriso stanco di bambino già vecchio era un’immagine indelebile, che gli appariva ricorrentemente, come una luce intermittente, davanti agli occhi. Gli occhi! Ecco cosa lo aveva colpito nel profondo, provocando in lui un grande turbamento.
Gli occhi sono lo specchio dell’anima e quegli occhi spenti, quei grandi occhi, neri come l’ebano, fotografavano la realtà da un’altra prospettiva. Erano così grandi da poter ospitare un oscuro dolore, ma non abbastanza fondi per pescare da qualche parte un briciolo di speranza.
Il giornalista tornò a esplorare la radura intorno alla baracca appena fuori del villaggio.
Ritrovò il bambino con le sue ossa in bella vista e la pancia gonfia come un triste palloncino.
Notò di nuovo quel coltello. Ma come era possibile che quel bimbo vestito di stracci possedesse un coltellino svizzero? Quel giorno il manico smaltato era meno lucente.
A ben guardare, la lama era rosso sangue, così come gli angoli della bocca asciutta del piccolo indigeno. “Qui i bambini sono più ingegnosi, perché devono sopravvivere”, pensò.
In tanta desolazione bambini e animali sembravano compagni nella quotidiana lotta per la vita.
Il bambino aveva ripreso a raccogliere stecchi. Ancora una volta regalò un sorriso all’obiettivo curioso.

Erano giorni che quel bambino non si faceva vedere. Il giornalista visitò tutti i villaggi della zona.
Incontrò tanti innocenti consumati dalla fame e dalla malattia; sembravano tutti uguali, ma il piccolo con il coltello aveva un altro sguardo. Gli occhi! Ecco come l’avrebbe riconosciuto … I suoi occhi riflettevano tenebra, non altro che cupa rassegnazione. I giorni trascorrevano lenti ai bordi del deserto e di quel bambino dagli occhi bui come la notte non erano giunte notizie.
Ricomparve nello stesso luogo il giorno prima della partenza del gruppo di redazione.
Era mattina presto quando l’ostinato reporter lo vide aggirarsi nei pressi della baracca il bambino dagli occhi profondi come il dolore sembrava un animale selvatico. Uno spettro invisibile ne dominava i gesti come un padrone. Sfinito, si trascina nella capanna. L’obiettivo seguiva quel penoso percorso.
Pensieri e parole si dissolsero per lasciare spazio alla scena raccapricciante che si trovò davanti.
Il bimbo col coltello si rannicchiò accanto a un piccolo fuoco, che riscaldava il pasto.
C’era un animale che bruciava … Con il serramanico quella creatura tutt’ossa si apprestava a compiere un’operazione delicata: scuoiava con pazienza e precisione chirurgica un topo carbonizzato per metà … Fino a che punto l’essere umano può spogliarsi della propria dignità per non dover cedere alla Signora oscura, la Fame?
Fino a che punto? Il giornalista sorprese quegli occhi senza luce accogliere il sonno come una temporanea liberazione. Quando notò in fondo alla baracca due piccoli cadaveri abbandonati come carcasse, sentì le lacrime pungere sotto le palpebre. Provò prima rabbia, poi pietà, infine rimorso, ma non fece nulla. Tornò mesto nel suo hotel e provò a dimenticare.

La Fame regna sovrana in molte parti del mondo.
Cerca complici, sconvolge, rende schiavi, scava come un coltello, offrendoci il manico.

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