Inseguiamo il sole fino a che non si fa giorno

RACCONTO SEGNALATO

NICOLO’ PADOVAN

IC. Margherita Hack – Maniago (PN)

            

Inseguiamo il sole fino a che non si fa giorno

Steso in mezzo ad una radura. C’è solo la natura.

Così nitida, così pura.

Una lama grigia.

Ogni taglio un pensiero.

Primo sentiero,

Passo dopo passo le foglie scricchiolano sotto il mio peso« Intorno a me alberi spogli, sui miei polsi decine dì tagli, nella mia tasca dei piccoli vetrini raccolti chissà dove in una delle case abbandonate del mio paesino.

Passo dopo passo il fango mi si attacca alla suola degli scarponi, appesantendoli sempre più.

È notte, e l’assenza della luna non aiuta a vedere qualcosa. Mi muovo solo ascoltando i rumori e muovendo un bastone davanti a me.

Toc.

Toc.

Toc.

Toc.

Tin.

Mi fermo: devo aver colpito qualcosa. Mi abbasso piano e, a tastoni, raccolgo l’oggetto.

É grande come una moneta da due euro, circa. È liscio e tagliente. Una punta di coltello. Perfetta.

La avvicino con un sorriso all’avambraccio destro. É fredda a contatto con la mia pelle pallida.

Un rivolo di sangue inizia a scorrermi lungo il braccio, e una grassa risata esce dalla mia bocca. Mi libero da altri pensieri: la mancanza di soldi, di famiglia, di amici, di affetto. Di felicità.

Rido.

Rido a crepapelle.

il dolore si fa sempre più forte. Continuo a spingere l’oggetto nella vena. Mi fermo solo quando il mio corpo diventa troppo debole per continuare. La forza della mia mano si affievolisce, ma non lascio cadere la piccola arma. Con la manica della camicia la pulisco e la metto in tasca. Il sangue continua a scorrermi fino alla mano, gocciolando sulle foglie giacenti a terra. Fa un rumore strano, attutito. Bello. Resto fermo ad ascoltare. Chiudo gli occhi e immagino il liquido rosso scendere a rivoli, divertendosi ad andare qua e là, fuori dalle mie vene, liberandosi e liberandomi.

Poi, al solito, mi stendo, tolgo gli scarponi e guardo il cielo. Migliaia di stelle.

Cammino scalzo,

cado, mi rialzo.

Lì c’è un cimitero.

Secondo sentiero.

Trascino i piedi nudi lungo la strada sterrata che va srotolandosi verso il camposanto. li cancello è aperto. Lo attraverso fischiettando, puntando dritto l’angolo più lontano, sulla destra. Una forma strana attira la mia vista. E un capitello con inciso un nome ormai nascosto da muschi. Con l’indice della mano sinistra strofino le lettere, in modo da eliminare la polvere. Compare una data: “30.08.87”. Oggi. Incuriosito uso uno dei miei vetrini per scrostare i licheni che coprono le due parole. Una persona, sotto di me, che ora è ridotta a delle semplici lettere. A due date. Quella di nascita, quella dì morte, li nome e il cognome.

Francesco Bellini. Il mio nome. Sempre più agitato muovo più veloce le mani, cercando di scoprire qualcosa di più. Dopo secondi infiniti tutto è leggibile. “(n. 30.08.72  m.30.08.87)”

Rido. Una risata isterica e nervosa. Mi stendo a pancia in su. Chiudo gli occhi. Sorrido. E aspetto.

Il lastricato di marmo

morbido, quasi un materasso. Mi rilasso.

Come un guerriero.

La mano destra armo.

Fine del sentiero.

In questo immenso mondo, in un piccolo cimitero, guardando il cielo infinito con i miei occhi infinitamente piccoli. La luna si sta nascondendo ormai. Tutta la notte fuori, a pensare, a maltrattare i miei polsi, a guardare le stelle. A dormire. A correre.

Ho anche lasciato le scarpe da qualche parte nel bosco.

Che strano questo luogo. Qui da solo in una radura nel folto del bosco.

La mano destra stringe i miei amati vetrini. La premo sul petto. Un dolore allietante mi raggiunge, un brivido mi attraversa il collo, raggiunge il mento e scende per la schiena, facendo tremare le gambe. I miei piedi sporchi, rotti, sanguinanti.

Un rivolo di un liquido denso cola dal mio busto. All’altezza del cuore. La lapide dietro a me è mia. Il mio nome, la mia data di nascita. E quella di morte. Il sole sta nascendo. Finalmente: lo stavo cercando. Volevo almeno dirgli addio.

Il cielo sta diventando sempre più colorato, il mondo più caldo.

Ma non io.

lo sono bianco e freddo. Il mio cadavere giace a fianco della mia tomba, in attesa che qualcuno lo seppellisca. Mi sento leggero. Mi alzo, ma il mio corpo non mi raggiunge. Addosso ho dei jeans, una maglia a maniche corte, una collana d’oro regalatami da mia madre.

E poi la luce mi pervade, infilandosi ovunque. È il sole.

Lascia un commento