Ventitrè Luglio

RACCONTO SEGNALATO

FATIMA PULLANO

IC DIVISIONE JULIA – TRIESTE

 

VENTITRÉ LUGLIO

Un fiore e un pensiero per Amy.

Una rosa bianca e una chitarra per te, Amy. Una chitarra classica, di quelle in legno levigato, quasi antico, come ricordo di quanto il tuo talento fosse straordinario anche senza effetti sonori speciali o modulazioni ardite. La tua rimane una voce unica: una voce pura, nera e cavernosa che ieri mi colpiva, che oggi e sempre mi abbraccia, mi rappresenta, mi induce a pensare che quelle parole siano dedicate solo a me.

Una voce stroncata da un’overdose di alcol e di droghe pesanti, ma soprattutto dalla solitudine e dalla paura di vivere. Il talento, una vita davanti, l’amore dei tuoi cari, dei tuoi fans … hai dovuto rinunciare a tutto questo, povera Amy, io lo so, contro la tua volontà, per una maledetta catena, per una maledetta bottiglia di vodka, in cui affogavi un po’ ogni giorno il rumore deí pensieri.

Ecco perché voglio donarti una rosa bianca: è talmente bella all’esterno, con quel suo colore puro, immacolato, che ti lascia un senso di sicurezza, però ti inganna perché, se la sfiorì, ti pungi e fa male, fa molto male.

Quella sensazione di gioia, quell’euforia, quell’eccitazione, quella libertà che provavi quando assumevi sostanze tossiche erano frutto di un’illusione, un’illusione davvero crudele. Era come se una miriade di pesanti catene ti avvolgesse, stritolandoti l’anima in una presa d’acciaio, e poi ti trascinasse verso il fondo, il fondo di un pozzo scuro, il fondo della tua stessa esistenza,

L’assenza di tuo padre nei momenti fondamentali dell’adolescenza, la ricerca di un partner, il peso della vita e del ruolo da superstar erano troppo: il tuo animo era fragile, non riusciva a sostenere il male di vivere.

Avrei voluto una vita esagerata e luccicante come la tua, Amy, invece per me è insopportabile il lento fluire di giorni tutti uguali, senza dolore, senza amore.

Lentamente muore anche chi è schiavo dell’abitudine, chi non sa cambiare pelle.

Allora meglio un taglio per provare a noi stessi che siamo vivi.

Ne basta uno piccolo e netto, magari in un posto nascosto. Da un taglio può nascere un fiume di rossi pensieri.

 

Un coltello e una poesia per Amy.

Graffi, tagli e lividi sul corpo. Come te li sei procurati? Lo raccontano le cronache: Amy che picchia un fan, Amy che vendica un atto di bullismo ai danni della figlioccia, Amy arrestata per aver aggredito un paparazzo. Come te li sei procurati quei segni scuri sulla pelle? Dio solo lo sa.

L’alcol era il padrone. E di padroni, Amy, ne avevi tanti: stesso pugno, tanti volti. Tu, piccola Amy, ubbidivi a un Corpo gonfio, che rifiutava il cibo. Arrendevole, ubbidivi al Valium, che ti intorpidiva i sensi. Ubbidivi a Blake: sguardo impertinente sotto il suo inseparabile cappello, il “Manipolatore”, che la Droga aveva manipolato e aveva spinto all’aggressione e al furto di un’arma falsa.

Eri troppo debole, Amy, l’ombra di te stessa e avevi paura, tanta paura. Nessuno sapeva del coltello sotto tuo cuscino.

Era un coltello a lama fissa, riposto accuratamente in un fodero di cuoio. Era di tuo padre. Quando ti sfiorava la guancia, provavi un brivido e uno strano senso di sicurezza.

Ogni sera lo osservavi con le lacrime che ti rigavano il viso: quella sua progettazione particolare, con codolo della lama che prosegue fino all’impugnatura, la forma grande e robusta, erano garanzia di una certa resistenza.

Lo impugnavi con la fierezza di una dea, poi ti guardavi allo specchio e vedevi solo un cucciolo tremante.

La lama in acciaio affilato fendeva l’aria. Dovevi imparare a difenderti, da tutto e da tutti, specialmente da te stessa.

Pochi comprendono che la lama è una via di fuga, un’ultima possibilità.

Ma io lo so che qualche volta il dolore emotivo può essere curato con il dolore fisico. Forse quel coltello lo tenevi sotto il cuscino non solo per difenderti, ma per mettere a tacere il tuo Corpo, la tua Anima, i tuoi Padroni, i tuoi Demoni, o forse per provare a distruggere gli inutili brandelli di un passato che non volevi ricordare.

A volte una lama è una spalla su cui appoggiarsi, piano b di una situazione difficile, quasi irrecuperabile.

Il filo della lama scintilla alla luna.

Amy, portavi un peso dentro di te e quel coltello sembrava alleggerirlo, sembrava in grado di risucchiare tutte le tue preoccupazioni. Chissà se avrai mai avuto il coraggio di impugnarlo contro qualcuno, di stringerlo fino a far sbiancare le nocche delle mani … forse sì.

Dopo una discussione con Blake, presa dalla disperazione, l’hai afferrato con una rabbia sorda.

Era lui, dicevano, a spingerti nel tunnel della Droga. E lui non si accontentava di un primo no appena sussurrato, Lui insisteva, e tu, esasperata e docile, eseguivi.

Così la lama ti scivolava dalla mano, finalmente libera di incollarsi al bicchiere.

Ora dice di essersi pentito, afferma di essersi sentito meno responsabile quando ha appreso che è stato l’Alcol, non la Droga, il tuo carnefice. Carnefice o vittima anch’egli di un’esistenza malata: che differenza può mai fare ora?

Amy, ricordi i versi di Baudelaire? “Ho chiesto alla fulminea spada,/ allora,/ di conquistare la mia libertà”.

Rivedo le tue foto: tu sotto un casco di capelli corvini, tu con troppo eyeliner che fai boccacce, tu e le tue ciglia finte, tu riversa sul letto, sola, bianca e nera, con i tuoi tatuaggi multicolor.

Quale vampiro ti succhiava l’anima, mentre lasciavi sbavare il rimmel, raggomitolandoti nelle tue contraddizioni?

Quale sirena incantatrice ti allungava la lama, e poi guidava la mano contro la tua pelle bianca?

Resistere era davvero difficile. Forse a tenerti in vita ancora per un po’ era quella tua voglia di scrivere musica, di cantare, di suonare, come se la tua arte rappresentasse un mondo in cui scappare, una realtà parallela.

Ma la realtà è una ed è ben diversa: esistono la sofferenza, la solitudine, il dolore, la disperazione. Questa è la vita: si può fuggire da qualsiasi problema e alla fine sarà solo tempo sprecato, perché il Problema ti inseguirà e prima o poi riuscirà a prenderti, stritolandoti nella sua morsa mortale.

La vertigine ci fa precipitare nel vuoto in fondo a noi stessi e ci fa credere di essere i soli a soffrire così tanto.

Ma non è così. Perché, Amy, non hai saputo guardare oltre la tua finestra il dolore che c’è fuori?

Sai, c’è chi è colpito dalla malattia, dal lutto, dalla miseria, eppure trova la forza fragile di un sorriso. Lo so, lo sapevo, lo sapevamo entrambe.

Ma tu, Amy, non sei stata capace di fermare il vortice del vizio. Avresti voluto tornare indietro, ai tempi in cui restavi nella tua stanza, sola, a scrivere musica con una birretta in mano.

Chissà cosa avrai provato nello scorrere sui giornali le fotografie che ti ritraevano fuori dei locali ubriaca o sul palco, appoggiata al microfono … Tristezza, sofferenza oppure vergogna per quello che eri diventata nel crescendo inesorabile della dipendenza?

Hai pensato ai tuoi fans? lo ti ho sempre seguita, Amy.

Eri il mio idolo, anche se il tuo Corpo, consumato dalla droga, si stava sbriciolando piano piano, granello dopo granello, e non ti apparteneva più. Vuoi sapere cosa proviamo noi fans?

Forse pietà ma non disprezzo.

Ti amavamo, amiamo quella voce, le tue canzoni, quell’energia, diventata ormai un puntino di luce soffusa in una distesa di caos e dolore.

Lo so, Amy, ho conosciuto anch’io il volto buio della vita.

Si può morire un po’ ogni giorno senza avere un motivo particolare. Sembra assurdo e infame, ma accade.

E’ successo a me.

Un sorriso e un cassetto per Amy.

Mi sembra di rivivere la mia vita pensando a te.

Quante volte avrai recitato la tua farsa davanti a quel microfono … quante volte avrai assicurato con una smorfia: “Baby, that’s ok!”, mentre l’alcol ti bruciava nelle vene.

Spesso è capitato anche a me di mentire, di rispondere con un sorriso finto “Va tutto bene” alla domanda di routine, quella che ormai non ha più significato, poiché chi la pone, di solito, non ascolta la risposta: “Come stai?” Non ti biasimo, Amy.

Qualche volta avrei voluto sparire. Non sono una tossicodipendente e non bevo. Non ho mai provato, non voglio provare, ma so cosa significa sentire il peso della vita, la voglia di non deludere chi ti è vicino.

Anch’io tenevo un coltello sotto il cuscino, proprio come te, Amy.

Quando stavo male, quando mi sentivo rinchiusa nel mio stesso Corpo, quando avrei voluto solo urlare, ma non potevo … quando avrei voluto che il fardello che porto dentro si sciogliesse e mi lasciasse libera finalmente di respirare, quando piangevo per ragioni che non conoscevo neanche … io vedevo una lama e la usavo. Dovevo placare quel dolore con un altro dolore, un dolore fisico, un dolore concreto. Incidevo sulla pelle percorso tortuoso della mia anima.

Poi infilavo le cuffiette, ascoltavo il ritmo caldo del tuo “Back to Black”, pensavo a quel personaggio fantastico che sei stata e non ero più sola.

Cara Amy, oggi vorrei regalarti un sorriso vero, il mio.

È spuntato il giorno in cui mi sono risvegliata in un letto di ospedale e ho ringraziato la vita di non avermi abbandonata, nonostante tutto.

Era un giorno d’estate. Tu sei volata, io sono rimasta.

Ora so che non voglio che la mia vita si dissolva senza aver mai vissuto.

Non seguirò tuo esempio, ma ascolterò la tua voce come un oracolo che mi ricorda in ogni istante qual è la via.

E se supererò il guado, sarà come averti dato un’altra chance.

Sono tornata a sorridere: è come se il tuo viso fosse diventato il mio.

Ho trovato un modo di scrivere un finale diverso alla tua storia. Tu te ne sei andata via, annegata nell’alcol, uccisa nella tua stessa casa, un luogo che dovrebbe essere caldo, accogliente e sicuro.

lo invece ho scelto di afferrare la mano forte della fiducia.

Ora quella lama affilata è tornata nel suo cassetto e quelle lacrime, quel sangue versati hanno un significato diverso.

Oggi è il ventitré luglio, l’anniversario della tua scomparsa e della mia rinascita.

Oggi ricordiamo Amy Winehouse. Una rosa bianca e una chitarra, appese alla sua porta, oscillano lievi al triste vento.

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