L’esigenza umana

 

Jurij Buciol

Isis “G. A. Pujati” Sacile (PN)

L’esigenza umana

Quale notizia, per un inondo così progredito, può portare un vecchio che si trascina stracci d’ere addosso, come tuniche lacerate? L’abitante dell’ultima grotta ai confini del mondo, come può essere moderno? La risposta è semplice, non lo sono; io, che nutrendomi di segrete corrispondenze con gli astri, ho in odio la volgarità della prosa prostituitasi a seducenti giochi psicologici, che intrattengono il lettore emozionato, Detesto il santo avviluppato nella sua giusta morale, e l’antico furore macchiato di passione, e più che mai aborro l’esecrabile melensaggine di chi, nei tempo, scrisse estirpando dalla nauseante allucinazione della quotidianità le proprie opere, come ai giorni odierni.

Amo la prima emozione umana, che tanto fu bistrattata da chi la ritenne sovrastruttura, o gretto fantasticare dei poteri sul popolo; la venerazione al sacro, è ciò che esige l’uomo per riconoscersi tale, essa è ctonia nel suo corpo naturale, e celeste nell’anima divina.

In questo modo voglio narrare, la genesi della lama, e se i cuori presteranno anche solo un segreto palpito, sarà ricompensato lo strapparsi della conoscenza ai sensi.

Molti credono che sia stato il diavolo a offrire agli uomini armi per ferirsi a vicenda, ma si sbagliano.

Ancor prima che il mondo fosse dominato nel suo intero, dei l’abitavano in una valle coronata di monti, situata nell’impervio nord; lì l’eterno rincorrersi della Splendente e il suo Bianco sposo. generò una densa nebbia, dalla quale condensarono e scivolarono sulla terra i primi uomini.

I vapori celavano gli abitanti da occhi malvagi, e fornivano loro anche da nutrimento, una sostanziale nube permeata della vita stessa.

Questo è il luogo ove nacque il coltello, ma la mano che per prima brandì quest’oggetto non fu d’un maschio vittorioso; ma di una donna, una madre a cui il fato strappò tutto quel che possedeva. Soddisfando la loro natura maligna, le Ombre scesero al limitar di quella terra, e al di là dei monti attesero, ravvivando in loro il desiderio di possedere cose vive, per corromperle e soggiogarle alla propria volontà.

Sfruttando l’ingenua curiosità dell’infanzia riuscirono ad irretire un pargolo, ma le loro macchinazioni andarono in fumo; avviluppato nella loro nera magia il tenero corpicino, non sopportandola, esaurendo allora l’ultimo fiato, si contorse riducendosi ad un tozzo arboscello come di carbone.

Deluse da un simile risultato le ombre fuggirono urlanti, ricercando altrove l’oggetto dei propri divertimenti, e lasciando immobile, in mezzo ad una radura, quel che un tempo era vita. Avendo perso ogni parola per descrivere la propria condizione dolorante di “non più madre”, la donna. compresa la sorte del figlio, abbandonò le soglie di casa spingendosi nelle intemperie esterne, mostrando agli dei una nuova condizione dell’animo.

Giunta al tronco scuro, accompagnata dalla speranza e da un corteo di lacrime, cercò di aprirne la scorza, per vedere se in quello spazio segreto vi si nascondesse ancora il suo piccino; ma i tentativi le strapparono via unghie e grida, senza tuttavia produrre frutto nel loro lavoro.

Fu in quel momento terribile, che alzando il capo difronte alla delusione, la donna si mise a rovistare il suolo, convinta di poter aprire quel sarcofago •Ìi corteccia. Alcuni spiriti accorsero in suo aiuto, e, da quella operazione, fu partorita la prima lama,forgiata con la magia dell’ingegno e la determinazione.

Cos’è infatti un coltello se non la potenza che si manifesta, se on l’arte che s’esplica in ciò che intaglia, la scintilla della vita e della volontà che incandescente rischiara i passi che ancora dobbiamo compiere dinnanzi a noi.

L’uso di quel nuovo arto, permise l’avanzare in quella corazza vegetale, più si avanzava al cuore, e più piccole gocce di linfa si disperdevano al suolo, ma prima di toccare la polvere mutavano in bacche.

Allorché il cuore del tronco fu profanato, il sospiro di tutti coloro che erano intenti a guardare fu mozzato dall’attesa d’un evento miracoloso.

Inizialmente non accadde nulla, poi quasi che l’albero scalpicciasse, e crepitasse, preso da un brivido si dissolse morendo per l’ultima volta, divenendo parte della polvere.

La madre mai rassegnata, ma guarita dall’illusorietà d’attesa di celestiali ricompense, quando è in questo mondo che essa si ritrovò chiamata a vivere, chiese udienza presso il Sole, e quest’ultima accettò la sua offerta.

La donna ritornò sul luogo di quel fatale addio, estratta la lama si ferì i polpastrelli di modo che piccole perle di sangue cominciassero ad uscirne.

Alzò il viso alla luce sua signora e trasfigurò nel primo albero, possente e al contempo materno contrastava il nulla circostante.

La polvere che aveva accolto suo figlio funse in eterno da nutrimento.

Dalle dita ferite nacquero pomi color rubino, e quei doni, come del suo coltello, quella dama fece lascito al futuro perché potessero aiutare ad affrontare ciò che ancora non ci viene palesato innanzi, le Ombre che anelano sopprimerei nei nostri atti più umani.

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