IRIS

RACCONTO SEGNALATO

DANIEL CHIARA

 IC Torre Pordenone

 

Quello che Omero non ha raccontato …

Iris 

Iris si guardò intorno, il fiume che sgorgava a pochi passi da lei era tinto dallo stesso liquido denso e scarlatto che ricopriva anche la terra sotto i suoi piedi. Conosceva benissimo il corso di quel fiume, avrebbe continuato per almeno due stadi ad ovest, per poi, con un’ampia ansa, gettarsi nel mare … I ricordi di quel mare pieno di insidie le tornarono vividi in mente, nonostante lo avesse attraversato solo una volta. Per il resto, un silenzio innaturale aleggiava in quelle terre, dove un tempo era sorta la grande città di Troia. Tra le mani, la lama di un coltello, bagnata dal sangue che sgorgava dal suo petto, che la fece scivolare nei suoi ricordi, nei suoi vecchi dolori, preferibili a quell’immenso mare di quiete.

Iris era l’unica figlia di un grande guerriero, uno dei più grandi e fedeli a Menelao, re di Spada, che purtroppo mori in guerra, quando la figlia aveva poco più di otto anni. La madre era già morta da tempo e tutti i legami con la famiglia erano stati spezzati dal nonno, un brigante traditore della sua patria. Nonostante il padre avesse contribuito a riaffermare il valore della loro famiglia, Iris non conosceva nessuno che la potesse prendere in custodia. Quindi diventò serva di Menelao, che, data la sua dolcezza mista alla gentilezza e ai bei modi di fare, ne fece il regalo di nozze ideale per la bellissima Elena, sua sposa. Fu subito accolta bene, e presto diventò amica di Elena, anche se avevano circa quindici anni di differenza. Iris la seguiva dappertutto, la aiutava ad acconciarsi i capelli, ad agghindarsi, l’assisteva nei riti per gli dei e nelle feste o cerimonie, era la sua damigella d’onore. Ma soprattutto, la proteggeva da qualsiasi pericolo: all’inizio semplicemente tenendole lontano il gran numero di pretendenti che avrebbero fatto di tutto per averla, e poi arrivando via via a sostituire la sua scorta personale. Iris era un genio nelle strategie di combattimento, dal corpo a corpo al tiro con l’arco alla

 

lotta con armi da taglio. Elena, dal canto suo, assisteva agli allenamenti di Iris e la proteggeva da occhi indiscreti. La ragazza, nonostante le varie difficoltà, continuava ad allenarsi e a combattere per Elena, che però, visto che la considerava ormai al pari di una sorellina minore, iniziava a essere preoccupata per la sua incolumità. Così un giorno, durante una pausa dagli infiniti compiti, le si avvicinò e le diede un dono speciale, le porse un pugnale: il manico era in corno di cervo, lavorato alla perfezione per adattarsi sia alla mano minuta di una bambina sia a quella grande e grossa di un guerriero; la lama era in ferro, e, nel punto in cui coincideva con il manico, era tempestata di pietre e lavorata con scanalature riempite in oro, che tuttavia non appesantivano l’arma e non impedivano il combattimento. Sulla lama si potevano leggere alcune preghiere, che invocavano la protezione di Atena, Nike, Era, Iride, Estia, Ebe e di molte altre dee e che erano state incise elegantemente e in modo da ricoprirla quasi interamente. Dai bagliori che emanava si intuiva che l’arma era stata sottoposta a incessanti riti per la protezione di chi la impugnava. Era possibile ritrarre la lama di circa mezza spanna a una misura di poco meno di un terzo di essa, una qualità unica nel suo genere. Da quel momento bis combatté solo con quel pugnale, nemici con gli spadoni non le facevano paura, e la dea della Vittoria risplendeva sempre su di lei.

Un giorno Elena fu invitata da suo padre Zeus a un banchetto per il matrimonio di Teti, una ninfa dei fiumi. Iris fu chiamata a starle accanto anche in questa occasione. li banchetto era incredibile: grandi piatti con tacchini e torte spiccavano sul lussuoso tavolo, circondato da troni per la dee e divanetti per gli dei e le nove muse si cimentavano in canzoni, drammi e conversavano di scienza e arti varie con gli invitati. La festa procedette in tutta allegria fino a notte fonda. Ad un certo punto un oggetto splendente apparve al centro del tavolo, una mela, tutta d’oro, intarsiata di pietre preziose, con una sola scritta: “Alla più bella!”. Iris era sicura che sarebbe scoppiata una lite, e difatti, tra le tante dee, Era, Afrodite e Atena iniziarono a litigare per decidere chi fosse la più bella. Zeus, a cui era stato assegnato l’ingrato compito di fare da giudice di quella contesa, scaricò la responsabilità su un principe mortale: Paride, erede al trono di Troia e abbandonato da piccolo sul monte Ida, costretto alla vita da pastore a causa di una profezia. Le tre dee cercarono di corromperlo in ogni modo e kis ascoltò di nascosto le loro conversazioni: Era gli promise il potere, Atena la forza e la saggezza e Afrodite l’amore, non il suo, ma quello della più bella donna mortale. Paride, vista Elena, non ebbe dubbi, diede la mela ad Afrodite, che ebbe la sua vittoria, e considerò sua Elena. Iris cercò di opporsi, ma non poteva niente contro un principe e una dea, quindi si rassegnò a scortare Elena e aiutarla ad arrivare a Troia sana e salva, insieme a Paride. Viaggiarono per mare, per mesi, affrontando mostri e peripezie varie fino a raggiungere la patria di Paride: Troia era bellissima, le mura immense, i palazzi costruiti con eleganza da mani che non avevano lasciato nulla al caso. Iris ne rimase affascinata. Intanto un membro dell’ equipaggio della nave, che li aveva scortati, era tornato in patria e aveva riferito al suo re, Menelao, quello che era successo; quest’ultimo, insieme al fratello Agamennone, re di Micene, radunò sotto un unico esercito tutta la Grecia. Da quel momento si susseguirono cicli di continue sofferenze, che portarono al feroce litigio tra Agammenone e l’eroe acheo Achille e all’uccisione di Patroclo, il migliore amico di Achille, poi vendicato da quest’ultimo con la morte di Ettore. Ognuno, per difendere o vendicare ciò che amava, odiava e faceva soffrire il nemico. La guerra durò dieci anni e per dieci anni Iris combatté per difendere Elena sia dai Troiani sia dagli Achei che la volevano morta; ogni volta, il suo pugnale colpiva preciso, ogni volta, però, la morte del nemico le trafiggeva l’anima, più letale di una spada. Nei rari momenti di pausa dalla battaglia, piangeva tutte le vittime della sua lama e di quella guerra, quelle migliaia di sogni che non si sarebbero mai realizzati, quelle migliaia di persone che erano morte a causa di uno stupido litigio tra dee. Iris iniziava a odiarle, tutte, la rabbia che si accumulava dentro di lei era immensa, e non riusciva a capacitarsi del dolore che l’attanagliava. Proprio lei, che da piccola era così dolce e gentile, era diventata un’assassina, benché lo facesse per un ideale, per proteggere l’amica. Dopotutto non era così diversa da tutti quelli che volevano eliminarla, anche loro si battevano e uccidevano per un ideale, che fosse desiderio di gloria o di protezione verso i propri cari. Quale guerra può ritenersi giusta? Nonostante tutto Iris continuava a sfogare la sua rabbia in combattimento, ma il filo spinato che le cingeva il cuore non accennava ad allentarsi.

Iris si guardò intorno, il fiume che sgorgava a pochi passi da lei non accennava a tornare limpido. Ricordò l’oracolo Non accettate doni dagli Achei; i Troiani troppo testardi; le feste per la fine della guerra. Ricordò le armature greche; la distruzione; il fuoco, quelle fiamme abbaglianti, il loro calore. Ricordò una freccia avvelenata che trafiggeva a morte il tallone dell’invincibile Achille; una spada calata e il sangue di Elena; un solo primordiale istinto di fuggire.

Vide se stessa, lo stesso liquido vermiglio, che colorava la terra, sgorgare dal suo petto e dipingere di nuovo il fiume di rosso, per l’ultima volta. Vide la sua lama, le sue mani, che mai avevano fallito un colpo, non deluderla neanche in quel momento. Vide il suo corpo adagiarsi sul terreno; il suo pugnale, prezioso dono dell’amica, cadere con un tonfo per terra, bagnato del liquido cremisi.

I suoi occhi contemplarono per l’ultima volta quella che era stata la magnifica Troia, ma che in quel momento era solo un cumulo di rovine … finchè si abbandonò al sonno più lungo. Si sarebbe ricongiunta con la sua amica nei Campi Elisi, oppure avrebbe pagato per il suo male nell’Ade.