UNA LAMA DA INDIANI

RACCONTO SEGNALATO

BASEGGIO EMANUELE

Liceo “Pigafetta” Vicenza

Una lama da indiani

Il giorno che i mastri forgiarono il coltello splendeva un bel sole su Maniago, il tepore del mattino di primavera cominciava ad attenuare il freddo del lungo inverno. Aprile 1855, per le strade ragazzini strillavano i titoli dei giornali in dialetto friulano e nel tedesco masticato degli austriaci, sventolavano le copie in faccia ai soldati imperiali. Dentro la fucina arrivavano le loro voci attutite. Gervaso, uno dei mastri armaioli più vecchi, Immerse la lama incandescente nell’ acqua fredda. Ne venne fuori un pezzo di ferro temprato. Infilò la lama in un manico di legno bruno, la fissò con due viti. Un coltello da caccia, venti centimetri di lama più undici di manico. Gervaso lo posò assieme a molti altri in un contenitore e si accorse di averne fatti abbastanza per una cassa: l’arma avrebbe cominciato presto il suo viaggio.

Un giorno dopo che lo avevano fabbricato, il coltello era già sulla strada per Trieste, su un carro trainato da buoni cavalli. Il vetturino lavorava per il più ricco mercante di Maniago, e se avesse piazzato bene quel carico si sarebbe messo da parte abbastanza denaro da comprarsi una nuova casa, abbastanza grande per i due gemelli che sua moglie aveva avuto poche settimane prima. Passò attraverso le vie chiassose e puntò dritto al porto odoroso di pesce, era là che si facevano gli affari migliori, che le navi caricavano i migliori pezzi italiani per rivenderli in Paesi lontani. E quello era proprio un buon giorno: ancorato al molo più grande si stagliava un transatlantico d’ acciaio, uno dei più moderni, con grandi ciminiere per il vapore. Era partito da Est, dalle ultime terre del Sultano, Istanbul, Efeso, Atene del grande re dei Greci, e ora veniva ai porti dell’Austria, del?’ Italia austriaca, per poi salpare oltre l’Oceano: batteva bandiera degli Stati Uniti d’ America. Un americano, appunto, il capitano della neve, passeggiava per il porto, osservava le merci e sceglieva cosa gli interessava. Adocchiò i coltelli di Maniago, si fece aprire la cassa. “Ho-oh! Buona lamai Coltelli da indiani, sì!” esclamò in inglese, e offrì un’ ottima cifra al vetturino.

Il coltello era nell’ immensa stiva, accanto a tappeti, vasi, rotoli di corda. Che strano mondo, in cui i più grandi reami d’ Europa lavoravano per rifornire delle colonie d’ Oltremare! Ma i ricchi, ovunque siano, pretendono roba di qualità. Gli americani erano ormai pronti a mollare gli ormeggi, quando una figura scura si lanciò a bordo urlando: “Aspettate! Aspettate!”. Gli americani estrassero le pistole. Il nuovo arrivato era un ragazzo triestino, avrà avuto vent’ anni, e una paura in corpo da farlo morire. Ma parlò. “Paterni venire con voi” implorò “non ho più nessuno qui…tutti morti—fatemi venire in America! Posso pulire e lavorare, finché non saremo lì!”. Il capitano lo squadrò per dei secondi, “Puoi stare” gli disse nell’ italiano che sapeva “in America c’ è posto”.

L’ Oceano! Il ragazzo, Antonio si chiamava, non aveva mai visto così tanta acqua, pur vivendo a Trieste non era mai andato per mare. Suo padre era muratore, sua madre puliva in casa di altri: poi il colera se li era portati via. Guardava II tramonto di fuoco, sognava I’ America, il Paese della libertà. Dormiva nella stiva, sciacquava il ponte, imparava l’inglese dai marinai giocando a carte. Tre settimane, e furono a Philadelphia. Che caos! Gli americani non stavano fermi un momento, erano peggio dei mercanti Italiani, la cassa dei coltelli andò venduta in meno di mezzi ora. Erano coltelli italiani dopotutto, solidi, fatti per infilzare gli indiani! (O almeno così aveva urlato il capitano per venti minuti). Antonio non sapeva che fare. Il capitano gli mise una mano sulla spalla: “I coltelli vanno in Texas” gli disse “laggiù hanno bisogno di giovani, per colonizzare I’ Ovest. Sali sui loro stesso treno. Sta’ attento, Antonio, che Dio ti benedica”.

Era l’America che scorreva sotto le ruote del treno a carbone, Antonio teneva la testa fuori dal vagone e sentiva il vento tra i capelli bruni. Le Grandi Praterie si stendevano in ogni direzione, i bisonti scappavano dai binari vedendo la locomotiva avvicinarsi. Qualche giorno ancora e sarebbero arrivati a Houston. Una sera, poco prima del tramonto, il treno passò per un boschetto; Antonio chiacchierava coi soldati che andavano a Sud per combattere i messicani, uno di loro si alzò per prendere del caffè. Ci fu un sibilo e un colpo secco, e il suo corpo era a terra, una freccia nell’ occhio. Restarono tutti muti per qualche secondo. Poi finalmente uno gridò: “APAAAAACHEI” e tutti si risvegliarono dal sogno. Corsero a prendere i fucili, a chiamare i compagni. Antonio sbirciò fuori dal finestrino: il bosco aveva preso vita, c’ erano cento, duecento uomini a cavallo che urlavano e scagliavano frecce, erano coperti di pelli, la faccia dipinta di tinture blu e rosse. Altri soldati caddero trafitti prima di riuscire a organizzare il contrattacco, e già gli indiani erano di fianco al treno, agili saltarono su e ingaggiarono con asce e lance. Antonio corse in un vagone da carico, voleva restare nascosto, Si rannicchiò a fianco della cassa dei coltelli, la aprì e ne prese uno: l’ultimo forgiato. Sentì un rumore alla porta. Sulla soglia si stagliava un guerriero, un grande indiano con un’ascia dalla lama in pietra. Guardò Antonio stupito: non si aspettava di trovare persone al coperto. Antonio colse l’occasione, il suo braccio si mosse prima di lui. L’ indiano arretrò col petto squarciato, uscì dal vagone, cadde. Le ruote gli passarono sopra. Antonio guardò di lato e si rese conto che gli indiani erano in rotta. Dal treno si levò un urrà. Il giovane guardò il coltello insanguinato e decise due cose: uno, quello ormai gli apparteneva, e non se ne sarebbe più separato; due, avrebbe fatto in modo di non doverlo più usare in quel modo.

Erano texani gli uomini che li accolsero a Houston, impastavano l’inglese in bocca. Un tenente di cavalleria accompagnò Antonio dall’ ufficiale che dirigeva i coloni per l’Ovest, gli disse: “Questo ragazzo è un eroe. Ha difeso il treno da un assalto indiano come un vero soldato, Deve diventare un cittadino, e dobbiamo dargli un pezzo di terra”. L’ ufficiale guardò quel triestino magro, scarno, e disse: “Va bene”.

Saint Justinian è il paese che Antonio fondò in quello che poi avrebbero chiamato New Mexico, costruendo la propria capanna su di una collina libera da alberi. Diede quel nome alla sua terra in onore del santo protettore di Trieste, e quando altra gente arrivò a vivere attorno alla collina elessero Antonio sindaco e tennero il nome. La guerra lo sfiorò per anni senza toccarlo, e alla sera gli uomini andavano a bere whiskey da Antonio e si facevano raccontare le sue avventure, condividendo poi le proprie. Dicevano che il coltello di Maniago era benedetto, che bisognava metterlo nella chiesa, venerarlo. Antonio rideva. “E un buon coltello”, borbottava, e con sicurezza lo lanciava a conficcarsi nel tronco di una piccola quercia che lui stesso aveva piantato. Presto questa divenne simile agli alberi che i grizzly usano per affilarsi gli artigli.

Un giorno il coltello si stancò di essere trattato a quel modo, e andò così in profondità nel legno che non riuscirono più a tirarlo fuori. Per quanto ne so, sta ancora là.