SOTTO IL SALICE

RACCONTO SEGNALATO

BETTETI GINEVRA

Liceo “Pigafetta” Vicenza

 

 

Sotto il salice

 

SOTTO IL SALICE

Un soffio di vento e una goccia che scivola giù da una delle foglie affusolate dell’ albero: un salice piangente che si specchiava interamente nel ruscello sfiorando con le estremità dei rami l’acqua cristallina, rami che sembravano ballare nella brezza del tramonto creando nella penombra giochi di luci ed ombre, rami che ci nascondevano dal mondo esterno, rami che sembravano braccia stese verso la salvezza o artigli che cercano di catturare la preda, questo dipende da sé stessi, dipende da come si ha la concezione del mondo, perché io ho capito che in base alla propria mente siamo capaci di vedere cose, che siano ombre, ricordi o altro, ciò che li accomuna è il fatto che ci fanno lentamente a pezzi, minuscoli pezzetti di percezione della realtà nascosta dietro bui e luci, ma tutta dipende da noi. Ricordo tutto alla perfezione. Ricordo bene le ombre create dalle radici in cui ci eravamo comodamente seduti, ricordo perfettamente l’ azzurro del cielo e il silenzio che ci circondava, ricordo benissimo il prato che vedevamo seminascosti dalla danza macabra delle foglie, ricordo di aver rabbrividito al pensiero e ricordo la mia testa sulla sua spalla. Eravamo solo io e lui sotto il nostro albero.

Era tutto perfetto, almeno fino a quel momento… ma poi sono arrivati un uomo e una donna, discutevano, ci infastidiva, non li vedevamo bene, i rami ce lo impedivano, ma ricordo dettagliatamente, come una foto il luccichio della lama che lui ha estratto freddamente, non era ancora successo niente ma capivo, avevo intuito, infatti mi sentivo nuda, spogliata da tutto, da tutte le protezioni, le foglie, la distanza che mi separava dai due non le sentivo più, erano diventate nulla. Il respiro cominciava a mancarmi mentre Will cercava di calmarmi sussurrandomi che sarebbe andato tutto bene, che non sarebbe successo niente, ma io non ce la faccio, continuo a respirare sempre più affannosamente nonostante sapessi che non avrebbero dovuto sentirmi, che sarei dovuta stare zitta, ma il fatto che anche lui avesse i nervi a fior di pelle mancava poco che mi mandasse nel panico.

L’uomo si gira verso di noi. Resisto di poco alla tentazione di alzarmi e scappare ma mi costringo a restare seduta, non devo agire istintivamente, non posso permettermi di sbagliare; mi maledico mentalmente di aver lasciato a casa il telefono mentre mi mordo il labbro fino a farlo sanguinare. Will mi abbraccia per tranquillizzarmi, ma sento lo sguardo dell’ uomo penetrare attraverso i fitti rami e lo spazio. Per qualche secondo ci guardiamo negli occhi o almeno credo; poi torna a gridare alla sua compagna, un brivido mi percorre la schiena, la mia niente inizia a non connettere più i pensieri e inizio a chiedermi istericamente se mi ha visto o no, se è un assassino “Certo che lo è” mi dico “Chi andrebbe in giro con un’ accetta?” infatti l’uomo ha una scure che rotea .incessantemente, .era quella la lama, ora la vedo bene.

  • Poi torna il silenzio, pensavo che se ne fossero andati, o almeno io speravo ma sono ancora 11 , ero quasi riuscita a convincermi, perché convincendo sé stessi la realtà cambia radicalmente, diciamo un cambio di prospettiva, o come cambiare obbiettivo a una macchina fotografica, cambia la visione del mondo. Vedo la scena come a rallentatore: la lama che scende luccicando dei riflessi argentati proiettati dalla luce della luna e poi un grido disperato, terribile squarcia il silenzio e l’accetta si ferma con un colpo secco e si sente un rumore come di cocci che si sgretolano in granelli sempre più piccoli fino a diventare sabbia, non riuscirò mai più a vedere questo posto. La scena mi resta impressa, non la dimenticherò come non dimenticherò mai quell’ urlo di immenso dolore come di un’ anima che brucia tra le fiamme dell’ inferno, ma qui siamo sulla terra, a Portland, una normalissima città, non nel mondo dei morti.

Mi giro e vedo la paura negli occhi di Will, finalmente le lacrime potevano iniziare a scorrere, prima silenziosamente, poi dando spazio a gemiti soffocati come un animale colpito; l’assassino si è rigirato verso di noi e ha spalancato la bocca in un ghigno. Pensavo fossimo morti, pensavo ci avrebbe uccisi. I secondi scorrevano lenti come ore, sentivo i suoi occhi su di me e ho chiuso le palpebre “Magari è tutto un sogno” speravo… E li ho riaperti, ed era sempre lì; mi è sembrato che il cuore smettesse di battere. Infine come se niente fosse se ne va con l’accetta quasi camminando, e giuro di averlo visto sorridere; sono paralizzata, non riesco a muovermi, voglio andarmene ma non riesco a scollare gli occhi da dove fino a pochi istanti prima si trovava quel mostro, non posso definirlo umano, non dopo aver visto la sua freddezza. Continuo a vedere la scure calare e colpire la testa della donna.

Will mi fa alzare e mi stringe; iniziamo ad uscire dai rami quando sentiamo dei fruscii ma ci siamo avvicinati comunque al corpo della donna, non so cosa ci abbia spinto, è ironico no? Come l’uomo freme per vedere questi OITOri, e in un certo senso gode nel vedere il dolore… Una pozzanghera di sangue la circonda, gli occhi ribaltati all’ indietro che sembrano biglie bianche, è pallida e bellissima sotto i raggi della luna è una bellezza che solo la morte porta; la bocca aperta in un nuovo grido mai uscito, celato e stretto tra i denti di quella maschera di morte.

“Torniamo a casa per chiamare la polizia” ricordo di aver detto tra i singhiozzi, poi lo ho preso per mano e ci siamo strascicati per le strade delta città che sembravano senza colore. Ci sentivamo osservati, tremavamo ad ogni passo trascinando i piedi come se fossimo troppo pesanti per loro. La sensazione di soffocamento aumentava, ad ogni angolo della via avevo paura di vederlo arrivare con l’accetta e i vestiti sporchi di sangue, o il corpo della ragazza steso in qualche vicoletto come nei film horror, ma questa è la mia vita, non un film, qui si rischia sul serio, e del resto io li vedevo, li vedevo per due secondi, vedevo le loro facce nei visi delle persone. È questo che intendevo, la nostra memoria può distorcere la realtà, può cambiare il nostro mondo, il nostro modo di vedere le cose, ora in questo momento la mia vita gira attorno al fatto di pochi giorni fa, ma per quanto? È passato troppo tempo, non ce la faccio più, sento qualcosa insediarsi dentro di me. Vedo le loro ombre che strisciano di fianco a me, la strada sembrava infinita, continuavo a sentirmi gli occhi addosso, cosa vogliono da me? Cerco di negarmelo ma il mio cuore mi dice che è lui, so che è lui, so che mi ha visto e mi cerca, eppure sparisce… Dei brividi continuano a percorrermi la schiena quando giro un angolo e lo vedo, lo vedo avanzare con la scure ancora sporca di Sangue avvicinarsi, sono indietreggiata fino ad arrivare spalle al muro, tremavo tutta, vedevo lo scintillio della lama attraverso le palpebre semichiuse, sentivo i suoi passi avvicinarsi, percepivo la sua presenza, lo sento sopra di me, sono immobile mentre trattengo il respiro sentendo il si:19 fiato :accanto a me, immagino il viaggio della lama che saetta sotto la luce di un lampione compiendo un ateo, dapprima puntata verso il cielo come una testimonianza a Dio e agli uomini del gesto che stava per compiere; poi ricordo di aver aperto gli occhi non so con quale coraggio, i secondi passavano lenti, devo aver pensato che fosse passato troppo tempo.

Will mi ha portata a casa, siamo entrati in ascensore tristi, svuotati di ogni emozione; ho spalancato la porta di casa, ero salva, mi ero messa il cuore in pace, il mondo era tornato del solito colore, e nonostante fossi ancora spaventata ho pensato che il peggio fosse passato. Cercavo con una mano freneticamente il telefono quando la vedo li, distesa sul Piano di granito nero della cucina: la accetta, crollo sulle ginocchia, il telefono mi cade e si rompe, ma ora non ha più importanza: non possiamo chiamare la polizia. E ancora una volta la mente ha modellato la realtà. Anche Will doveva aver visto qualcosa perché guarda il divano terrorizzato.

La decisione è unanime, non avremmo chiamato la polizia.

Eppure i giorni passavano e la situazione non cambiava, vivevo nella paura, vivevo nei fantasmi dei ricordi dì quella sera, non ce la faccio più, voglio finirla con tutto, sto perdendo il senno, la ragione, non distinguo più sogno e realtà, il supplizio si allungava e vedevo Will distante, come se non gli importasse, come se avesse già dimenticato, ma come aveva fatto? Perché a me risultava così difficile?

E ora sono qui, dove tutto è iniziato, sotto le fronde del salice, tra quei rami riflessi, perché sì, ora li vedo come artigli, ora vedo il mondo come un gigantesco errore, è qualcosa di sbagliato in me, perché io ho visto in poco tempo il mondo attraverso il vetro della paura, e ho visto che la divisione tra realtà e irrealtà non è così netta.

Ora Mi inizia a mancare l’aria, la corda attorno alla gola si stringe, addio.