CRONACA DI UN RACCONTO MAI SCRITTO

CRONACA DI UN RACCONTO MAI SCRITTO

 

GIORNO 1

Finalmente è sabato e sino a giovedì non si torna a scuola. Alle 7.30 del mattino sono in piedi e la mia mente è già occupata da un quesito esistenziale: perché quando devo andare a scuola il letto si trasforma in sabbie mobili e quando, invece, posso godere del meritato riposo non riesco a dormire? Il problema si dissolve davanti a una ricca colazione a base di pizza fredda e Coca Cola, gli avanzi della cena. Come ogni fine settimana inizio con buoni propositi: vado in camera, svuoto lo zaino, consulto il diario e predispongo il programma di studio: inglese exercises 9 and 10 page 67, matematica risolvere le funzioni da 104 a 135 a pag.187, scienze… e qui esplode un urlo di gioia come se la Juventus avesse segnato nella finale di Champions League: niente compiti! Come un perfetto ultrà inizio a inneggiare al professore gridando così forte che la mamma, ancora assonnata, si affaccia alla porta e mi chiede: “tutto bene?”. Torno alla lista dei compiti: italiano: leggere un libro a mia scelta. Facile – penso io – cercherò quello che ha meno pagine! Ma ecco spuntare un nuovo appunto: “la prof. si raccomanda di preparare un racconto per il concorso Lama e Trama”. “La Juventus ha pareggiato” penso tra me e me. “Lama e Trama? E poi che concorso è?” Il computer è ancora acceso dalla sera prima e, dopo aver chiuso le varie pagine su calcio, basket e giochi vari, digito su Google “lama e trama”. Eccolo, il risultato è in prima posizione: accedo e scorro velocemente il regolamento. Adesso mi è chiaro, almeno credo: devo scrivere un racconto che ha come protagonista un coltello, un paio di forbici o un cavatappi. L’occhio cade sui premi e immagino già come saranno orgogliosi i miei genitori quando mi consegneranno il primo premio per il miglior racconto. Vado oltre: fantastico di diventare uno scrittore famoso come Agatha Christie o L.E James, sempre impegnati a girare il mondo e a firmare autografi sulle copertine dei libri, vedo anche le locandine dei film basati sui miei omonimi racconti. Preso dall’entusiasmo, per un attimo mi dimentico che sto fantasticando: me lo ricorda un gracidare lontano… certo, la mia nuova suoneria che mi avvisa dell’arrivo di un sms e così torno alla realtà e, un po’ deluso, leggo il messaggio di Marco, un mio amico: “Vieni al campetto a giocare a basket?”. “Va bene”, penso, “la gloria può aspettare e poi siamo solo al primo giorno di vacanza”.

 

GIORNO 2

Oggi mi dedicherò completamente al racconto. Voglio prepararmi bene, per cui per prima cosa cercherò di capire come viene prodotto un coltello. Non so ancora se mi servirà ma non si sa mai. Ho capito che ci sono due tipi di lame: quelle tranciate e quelle forgiate. Nel primo caso si parte da lastre di acciaio che vengono tagliate con il laser o tranciate meccanicamente, nel secondo caso si parte da barre che vengono schiacciate e poi tranciate. Le lame poi vengono temprate e rinvenute in forno per migliorare le loro caratteristiche. Con la fase di molatura si riduce lo spessore, poi vengono affilate, lucidate, lavate, marchiate e confezionate. Non ho ancora ben capito quando viene applicato il manico ma non credo che sarà così rilevante per il mio racconto. Penso che sia utile anche sapere qualcosa in più di Maniago, visto che organizza il concorso. Ho scoperto che la città è famosa per le coltellerie, sorte artigianalmente a partire dal Quattrocento e che i fabbri maniaghesi forgiavano attrezzi per l’agricoltura coltelli e lame che fornivano anche alle truppe della Serenissima. Molto interessante, potrei scrivere la storia di un soldato veneziano che combatte con una spada di Maniago!

Voglio saperne di più anche sui miti e sulle leggende legate ai coltelli. Ne ho trovate veramente tante e tutte interessanti. Certo la spada di Artù tutti la conoscono, e anche l’ascia di Thor, ma ci sono tante altre leggende forse poco conosciute come quella dell’artigiano di Scarperia che copia la forma del coltello di un vergaio e

fabbrica il coltello per tagliare il Pecorino Toscano o, ancora più intrigante, la storia del “Curtis di nuv lunis” legata al scramasax, un coltello longobardo. Secondo questa leggenda per uccidere l’orco si riteneva efficace caricare un fucile con polvere da sparo benedetta e una palla di piombo con una croce incisa con un curtis di nuv lunis, un coltello di nove lune.

 

GIORNO 3

Ieri sera mi sono addormentato pensando alla trama del racconto. Ho immaginato storie fantastiche, dagli eroi greci e romani ai soldati della Serenissima, dalle guerre del Medioevo agli scontri tra cow-boys e indiani ma, alla fine, mi sono reso conto che tutte le storie che inventavo qualcuno le aveva già pensate prima di me, in pratica mi avevano rubato l’idea!

Decido di andare a fare quattro passi con i miei cani per cercare ispirazione. Fuori il cielo è terso ma l’aria gelida e pungente. Mi incammino per una strada di campagna. Attorno a me solo campi deserti e imbiancati dalla brina, così diversi da quelli verdi e profumati di qualche mese prima. Mentre i cani esitano davanti ad una zolla di terreno mosso da qualche talpa, chissà per quale motivo penso alla vita dei contadini, ma non di quelli di oggi che utilizzano potenti trattori per lavorare la terra e gigantesche trebbie per raccoglierne i frutti, ma di quelli di una volta che dovevano alzarsi all’alba per vangare a mano la terra o per falciare i prati. “Certo” — penso —”questo è un segno del destino! Il mio racconto avrà come protagonista un contadino”. Riprendo subito la strada di casa soddisfatto e quasi ansioso di cominciare a scrivere. Senza neppure liberare i cani dal guinzaglio mi precipito in camera per rendere indelebile la mia intuizione. Cerco in Internet eventi storici che hanno avuto come protagonisti i contadini e Wikipedia mi suggerisce subito “la guerra dei contadini” verificatasi in Germania tra il 1524 e il 1526 e la “rivolta dei contadini”, altra ribellione popolare avvenuta in Inghilterra nel 1381.

Posso finalmente rilassarmi, la mia storia riguarderà un coltello utilizzato da un contadino o da un nobile nel corso di una rivolta. Quale delle due? Ho tempo per pensarci, domani è un altro giorno!

 

GIORNO 4

Oggi mi sono svegliato di buon umore e sono pronto a scrivere il mio racconto. Spengo anche il cellulare per evitare distrazioni, poi però decido di riaccenderlo tenendo il volume della suoneria completamente abbassato: non si sa mai che qualche amico mi chiami. Comincio a pensare a una trama originale, scarabocchiando nervosamente un foglio di carta. La mia immaginazione però è piatta come il mare quando non c’è nemmeno un soffio di vento ad incresparlo. Mi sembra di essere in classe quando durante il compito di matematica hai il vuoto più assoluto e non sai come andare avanti e con il passare del tempo cresce l’ansia. Cerco di concentrarmi, ma riesco solo a sentire i rumori che mi circondano: il cane dei vicini che abbaia, la mamma che passa l’aspirapolvere, il fastidioso ticchettio dell’orologio appeso alla parete. Passano minuti che sembrano ore e ore che sembrano giorni ma il foglio di Word sul mio desktop è sempre bianco.

Capisco che l’ispirazione è come l’amore: non va cercata, capita e basta. Questo pensiero letto qualche tempo prima su un Bacio Perugina basta per convincermi a non insistere e a prendermi la giornata libera.

 

GIORNO 5

 

Comincio ad agitarmi. Questa notte ho dormito poco e male e questa mattina mi sono risvegliato trovando le coperte e il cuscino per terra, in parte al letto. Ingurgito velocemente la colazione con il pensiero fisso di scrivere il racconto.

Ho deciso di seguire il consiglio di mio papà: per prima cosa studierò meglio il periodo storico e gli avvenimenti che hanno portato alla rivolta dei contadini e, forse, questo mi aiuterà a trovare l’ispirazione.

Passo la maggior parte della mattinata a leggere articoli sull’argomento e adesso sono più tranquillo. Riesco a immaginare i contadini affamati e disperati armati di forche e bastoni, ma anche di falci e coltelli, che assaltano le belle ville degli opulenti proprietari terrieri. Mi ricordano molto i personaggi di Verga e, confortato da questa citazione letteraria, dopo diverse false partenze inizio finalmente a scrivere.

“23 marzo 1381. Sire, i rovesci di questi ultimi mesi mettono me, Vostro fedele suddito e la mia famiglia tutta in gravissimo pericolo di vita. Elena stava scrivendo una lettera indirizzata a Re Riccardo II per chiedere protezione nei confronti dei contadini insorti che, da qualche tempo, stavano saccheggiando e devastando le tenute nobiliari nei dintorni di Londra. Non erano ancora arrivati alla imponente villa dell’Essex, ma era solo questione di tempo. La grande stanza semivuota dove si trovava Elena era rischiarata solo dalla luce del caminetto davanti al quale Edoardo, il suo vecchio e corpulento marito, sedeva taciturno fumando un sigaro. Le pareti della stanza erano ingiallite dalla caligine, così come le tende davanti alle enormi finestre. I tempi delle grandi feste e degli sfarzi era finito, anche la servitù era scappata unendosi ai ribelli e portando via le ultime cose di valore. Era rimasta solo una anziana domestica perché non aveva altro posto dove rifugiarsi. La tensione nell’aria era palpabile. Il silenzio della notte all’improvviso venne interrotto dal latrato dei cani. Sobbalzando dalla sedia Edoardo si affacciò alla finestra e vide in lontananza delle minuscole fiammelle che sembravano danzare. Se non fosse stato inverno avrebbero potuto essere uno sciame di lucciole. Ben presto, però, le piccole luci cominciarono a ingrandirsi, l’ululato dei cani ad accompagnarsi a un assordante brusio e, alla fine, a distinguersi le figure dei contadini che, brandendo forche e bastoni con passo veloce si stavano avvicinando alla villa.

Edoardo pallido come un cencio urlò ad Elena di scappare e, brandendo una spada, uscì per affrontare gli insorti. Lei lo guardò per la prima volta con affetto. Figlia di un contadino, era stata costretta a sposare Edoardo che, durante una visita ai suoi possedimenti l’aveva vista e anche se giovanissima l’aveva voluta per sé, neanche fosse un animale da comprare in una fiera. Il padre morì qualche tempo dopo per il dispiacere e subito dopo la madre subì la stessa sorte. Nel corso degli anni in verità era sempre stata trattata bene ma sino a quella sera Elena aveva sempre odiato e disprezzato il marito e rimpianto la sua giovinezza.

Elena uscì velocemente dalla porta che si trovava sul retro della casa e cominciò a correre disperatamente per rifugiarsi in un piccolo boschetto di frassini che si trovava a poca distanza. Raggiunto il bosco si voltò terrorizzata verso la villa: si sentivano le grida dei contadini e si vedevano le fiamme delle torce illuminare le finestre della villa. Quando le grida cominciarono a placarsi un bagliore la illuminò. Un contadino la afferrò per i capelli. Avrà avuto pressappoco 20 o 25 anni, la sua stessa età, il volto scavato dalla fame, gli occhi inferociti che mostravano tutto il suo odio e la sua disperazione, gli abiti sudici. In mano teneva stretta un’accetta ed era pronto a colpire. Per un attimo Elena lo riconobbe, era un suo amico di infanzia con il quale aveva spesso giocato quando erano ancora bambini. Non era più terrorizzata, il colpo mortale avrebbe messo fine alle sofferenze e ai rimpianti di una vita, più che rassegnata adesso sembrava sollevata e chiudendo gli occhi abbassò il capo. Sentì solo la mano del contadino liberare i suoi capelli e i suoi passi mentre si allontanava. Forse anche lui l’aveva riconosciuta. Per il freddo e la tensione svenne. Al suo risveglio era tornato il silenzio: vide la villa ancora avvolta dalle fiamme e sentì l’odore acre del fumo. Attese ancora qualche ora prima di uscire dal suo nascondiglio per essere certa che non ci fosse più nessuno. Dall’altra parte della villa riconobbe la sagoma di suo marito. Era stato appeso per il collo al maestoso ciliegio del giardino come fanno i cacciatori con la selvaggina, aveva gli occhi aperti e la lingua a penzoloni. Sul volto pallido si vedevano ancora i segni dei colpi ricevuti. I pantaloni erano bagnati e l’odore di urina era penetrante. Elena avrebbe voluto scappare ma spinta dalla compassione cominciò a rovistare nelle tasche del marito alla ricerca di un piccolo coltello che portava sempre con sé. Lo trovò e lo utilizzò per tagliare la corda che sorreggeva Edoardo. Il corpo rigido dal freddo cadde a terra facendo un suono cupo”.

Leggo e rileggo questa prima parte. Sono così soddisfatto che ho la pessima idea di condividerla con mio papà che è in salotto intento a leggere le istruzioni della lavastoviglie. Felice e sicuro di guadagnarmi la sua approvazione gli leggo il testo dandomi anche un tono da narratore navigato. Non so se per lui in quel momento fosse più interessante il capitolo relativo alla pulizia del filtro ma, dopo un attimo di esitazione, mi ha guardato con un’espressione severa commentando semplicemente “nel 1300 non c’erano i sigari in Inghilterra!”. Niente “bravo”? Niente “magnifico”? Niente “grandioso”?

Per me è stato come ricevere una sberla Senza preavviso, sono crollate tutte le certezze e la tanto attesa creatività è svanita come una scritta sulla sabbia in una giornata di vento.

Domani ricomincia la scuola e sono di nuovo al punto di partenza. L’ansia mi sta azzannando lo stomaco. Mi sdraio nel letto in attesa di un’ultima ispirazione, ma per la mia testa non passa niente, è di nuovo vuota come la parete bianca che sto ormai fissando da mezz’ora. Ripenso ai giorni di vacanza, ogni tanto mi rimprovero per aver sprecato il tempo, ma ecco l’idea: scriverò una storia prendendo spunto dalla leggenda del ‘Curtis di nuv lunis” e sostituendo l’orco con un mostro di qualche film americano. Mi aspetta una lunga notte.

 

GIORNO 6

Suona la sveglia, ancora addormentato sento in lontananza l’inconfondibile tintinnio di un cucchiaino che sbatte ritmicamente su una tazza: è la mamma che mi prepara la colazione. Apro lentamente gli occhi e intravedo dei fogli sparsi per terra. Il panico mi assale, ieri sera mi sono addormentato! “E adesso cosa faccio?”. Devo pensare velocemente a qualcosa. Mi fingo malato? Febbre, tosse, orecchioni, vaiolo? Non c’è tempo! Bevo velocemente la tazza di latte, poi vado in studio disperato. Faccio quasi fatica a respirare dalla tensione. Preparo la cartella, mi serve il libro di matematica che è sopra la scrivania. Lo prendo, sotto ci sono i miei vari e disordinati appunti per i diversi racconti. Li metto in una busta ed ecco fatto il mio racconto: “Cronaca di un racconto mai scritto”, dopo tutto non è male come idea.