Il peso delle parole

IL PESO DELLE PAROLE

Vittoria Locatelli

IC Pordenone Torre, Scuola media statale “G. Lozer” – Pordenone

 

Egregio Signor Avvocato,

ho bisogno del Suo aiuto… voglio, anzi devo, cambiare cognome!

Non è un vezzo ma un’esigenza, lo faccio per la mia famiglia.

Del resto la legge è dalla mia parte, credo.

In preda allo sconforto ieri ho cercato su Google una soluzione al mio problema e ho scoperto
che il Decreto del Presidente della Repubblica del 13 marzo 2012 n. 54, all’articolo 2, sembra proprio rispondere alle mie necessità quando prevede: «… chiunque vuole cambiare… il cognome, anche perché ridicolo o vergognoso… deve farne domanda al Prefetto della provincia del luogo di residenza o di quello nella cui circoscrizione è situato l’ufficio dello stato civile dove si trova l’atto di nascita al quale la richiesta si riferisce. Nella domanda l’istante deve esporre le ragioni a fondamento della richiesta.»

Sono secoli che la mia stirpe si sente offesa dal modo in cui veniamo chiamati. Rispetto alle nostre qualità e all’onorevole compito che svolgiamo, l’appellativo che ci è stato affibbiato è a dir poco ridicolo: CAVATAPPI!

Già, il suono è sgradevole, se poi analizziamo il significato del termine, è evidente che risulta al tempo stesso inadeguato e offensivo.

Chi ai nostri giorni si rivolgerebbe al suo dentista chiamandolo “cavadenti”? Mi domando perché, allora, per noi dovrebbe essere diverso.

Le parole hanno un grande potere, ma rischiano di ferire più delle armi e, per questo, vanno scelte con cura.

Se è vero che per capire a fondo le motivazioni di qualcun altro bisogna mettersi nei suoi panni, provi a immedesimarsi nella mia situazione e comprenderà che merito il Suo sostegno.

Sono nato in una storica coltelleria di Maniago, dove mani esperte forgiano i metalli più pregiati per creare strumenti belli e funzionali.

Ho la struttura in alluminio leggero, ma la cremagliera e il pignone sono in acciaio, per garantire resistenza e precisione. Anche il meccanismo è in acciaio e così pure la spirale elicoidale, che è in grado di trafiggere il sughero più ostinato.

Il mio stile è tutto italiano, con un design moderno e versatile. I miei outfit variano dal rosso più grintoso al blu ultra chic, senza dimenticare il raffinato look argenteo, per adattarsi ad ogni ambiente.

Nell’avvitamento ho la grazia di una ballerina classica che, danzando sulle punte, si esibisce in una serie di impeccabili pirouettes e, subito dopo, dimostro la forza di un meccanismo super efficiente.

Da generazioni la mia famiglia è chiamata a svolgere un nobile e accurato lavoro, che viene sminuito da quanti lo ritengono scontato e irrilevante, cosa per nulla vera.

Un esempio l’aiuterà a capire meglio il mio punto di vista.

Ricordo ancora quel Natale del 2007, mi trovavo nella casa di montagna dei baroni Laugier. Tutto appariva impeccabile, la mise en piace era perfetta: tovaglioli ripiegati elegantemente attendevano alla sinistra dei piatti di porcellana bordati d’oro, calici di cristallo di ogni dimensione accompagnati da forchette e coltelli d’argento sapientemente lucidato arricchivano la tavola rivestita da una tovaglia di candido lino, ornata da preziosi ricami, al centro della quale composizioni sopraelevate di peonie bianche e candele dorate addolcivano l’ambiente. A completare il quadro scintillava un albero di Natale decorato con addobbi di vetro e nastri di velluto.

Quella sera, a cena, i padroni di casa avevano invitato amici provenienti da ogni dove. Ciascuno di loro aveva portato qualcosa: chi semplicemente un regalino, chi un mazzo di fiori, ma il dono di maggiore importanza fu quella bottiglia di Bordeaux annata 1947.

A metà serata giunse il mio momento e un’inquietante domanda mi assalì assieme ad un’incontenibile emozione: «E se il sughero si fosse sbriciolato rovinando cosi l’atmosfera e il vino tanto prezioso?»

Dovevo farcela, senza di me il Bordeaux sarebbe rimasto imprigionato nella sua terribile, fredda e impenetrabile gabbia di vetro.

Non mi tirai indietro e, dopo aver inserito la punta affilata della lama nel turacciolo con maniacale precisione, iniziai a roteare con un movimento fluido e ininterrotto sino all’invocata espulsione del tappo.

In quel momento il suono morbido del sughero mi condusse in un’altra dimensione, dove potevo godere del paesaggio autunnale delle viti cariche d’uva, udire le voci dei vignaioli intenti alla vendemmia e sentire il profumo del mosto appena spremuto. Il vino, frutto di fatica e pazienza, come una macchina del tempo attraversa gli anni per regalare emozioni uniche.

Gli applausi dei presenti mi riempirono d’orgoglio e mi riportarono alla realtà.

L’apertura di una bottiglia è pura magia. A differenza dei botti alquanto volgari causati dalle bollicine, noi, come Aladino, permettiamo elegantemente al vino con i suoi effluvi di uscire dal vetro in cui è rimasto costretto per lunghi anni.

D’altronde, come disse Benjamin Franklin “la scoperta di un vino è un momento più grande della scoperta di una costellazione, l’universo è troppo pieno di stelle”.

Mi auguro di essere riuscito a trasmetterLe la passione con cui noi svolgiamo quotidianamente il nostro incarico e l’importanza del nostro ruolo nella società.

Siamo precisi, affidabili e raffinati. Questo vale per tutti noi e da sempre.

Il nostro progenitore nacque in Inghilterra nel 1795 per mano del reverendo Samuel Henshall che lo brevettò e iniziò a produrre esemplari unici molto richiesti dai ricchi signori dell’epoca e così belli da essere indossati al pari dei gioielli, agganciati alle catene degli orologi o alle cinture.

I miei parenti minimalisti hanno un manico, che può essere di legno ma anche di un metallo prezioso come l’oro e finemente cesellato, al quale è direttamente ancorato il verme in acciaio. I più pratici sono tascabili, con la spirale richiudibile nel manico e una piccola lama per rimuovere la capsula.

Io appartengo a quel ramo della famiglia che applica le leggi della fisica per ridurre lo sforzo muscolare necessario all’estrazione del tappo. Il nostro meccanismo può essere a vite, con pignone e cremagliera o a leva; modestamente, siamo l’anello di congiunzione tra la scienza e l’estetica, l’eccellenza dell’industrial design.

Gli ultimi nati vengono dall’America e vantano un meccanismo screwpull che, con un solo gesto, libera la bottiglia dal sughero.

Qualche sprovveduto, negli anni, si è illuso di poter fare a meno di noi con esiti tragicomici. Come nelle barzellette, ci hanno provato un tedesco, un francese e un inglese.

Il primo ha utilizzato una vite e una forchetta per infilzare il tappo e successivamente tirare con violenza; neanche a dirlo il collo della bottiglia si è frantumato!

Il secondo ha, invece, tentato di infilare una scarpa al vino e ha iniziato a sbatterlo contro il muro; anche volendo sorvolare sul fatto che il gesto di scuotere il vino è deprecabile, non si può sopportare lo spreco che la folle idea ha prodotto riversando sul pavimento quasi la metà del fluido.

Il più geniale dei tre, infine, ha deciso di guastare interamente la bottiglia forando il sughero con il trapano.

Siccome la fantasia non ha limiti, ci sono stati anche tentativi razionalmente impensabili: sono stati adoperati accendini, chiavi, graffette e perfino un mestolo con cui il tappo è stato intenzionalmente spinto all’interno. Da non credere!

Sono convinto che, a questo punto, Lei comprenderà che meritiamo maggiore attenzione e un po’ di rispetto… ad iniziare dal modo in cui veniamo chiamati.

La scorsa notte, mentre rimuginavo su quale potesse essere un cognome adeguato, mi sono addormentato e tutto ciò che ricordo è un bizzarro sogno: mi trovavo nell’antica Roma e nel triclinio un gruppo di ricchi patrizi mi parlava in latino sorseggiando dell’ottimo vinum.

Come già detto, in realtà a quell’epoca noi non esistevamo. Del resto non c’erano nemmeno i tappi e il vino era contenuto in anfore di terracotta.

Sono certo, però, che quella lingua dal timbro così elegante ci avrebbe indubbiamente reso onore, scegliendo per noi un appellativo pertinente e armonioso … qualcosa come … pro gaudio, che ricorda la gioia suscitata dall’apertura di una buona bottiglia di vino.

Tengo molto al Suo parere professionale e confesso di essere davvero impaziente.

Per favore, mi chiami con urgenza e, se può, risponda ad un’ultima domanda: << Il nostro Prefetto è, per caso, astemio? >>

Sembra un’inutile curiosità, ma è importante che io lo sappia prima di iniziare la procedura. Mio nonno King, grande saggio, raccomandava spesso di non fidarsi di chi non beve vino. Era sempre stato un po’ svitato — per malattia professionale — ma sapeva cogliere l’essenza delle persone.

Prosit! Bellagio