L’ossessione di un pittore

L’OSSESSIONE DI UN PITTORE

Irene Peloso

IC Pordenone Torre

 

Un giovane emerge dal buio dello sfondo, un lampo di luce rivela la mia lunga lama affilata. Egli mi stringe, mi impugna con ardore. La sua mano ancora sudata avvolge mio manico dorato, mentre sfioro il suo corpo. Il suo volto, tra il disgusto e la pietà, è reclinato e guarda in basso, il suo sguardo compassionevole si posa su una gigantesca testa umana, il cui grido silenzioso e disperato sovrasta la scena. Golia urla le sue ultime parole di vita, mentre un grondare di sangue esce veloce dal suo collo appena mozzato dal mio filo.

È un’immagine ormai immobile da ben quattrocento undici anni, intrappolata in un quadro che si trova, oggi alla Galleria Borghese di Roma. Quotidianamente, persone e persone vengono ad ammirare la nostra tela, riconoscendo l’immane bravura e maestria del nostro creatore: Michelangelo Merisi, conosciuto anche con il nome di Caravaggio, irrequieto pittore di grande fama, protagonista di episodi truci e violenti.

Io, una lama, divenni la sua ossessione…

“Ecco il mio dono per il tuo settimo compleanno, figliuolo” e, pronunciate queste parole, finii tra le mani morbide e delicate di un bambino, Caravaggio. Gli occhi castani che si riflettevano perfettamente sulla mia lama, rivelarono da subito l’intesa improbabile che si sarebbe creata di lì a poco tra una spada e un bambino, la nostra.

Uno sgabello iniziò ad accostarsi a fianco del suo, nella stanza in cui avrebbe creato alcune delle sue opere maggiormente conosciute oggi in tutto il mondo e, quotidianamente, ero io a occupare quel posto aggiuntivo, per sporcami cli colore e rimirare ogni pennellata di un bambino speciale, -unico.

Crescemmo insieme, legati dal filo invisibile e indistruttibile dell’amicizia, ragion per cui Michelangelo mi confidava i suoi segreti più intimi ed io, anche se impotente nei suoi confronti, ascoltavo con pazienza, Dopo cinque lunghi anni, però, accadde improvvisamente un fatto, che segnò per sempre la nostra alleanza fraterna…

Il suono di voci maschili, provenienti dal piano sottostante al mio, dove stavo ancora adagiata sopra il solito sgabello, veniva catturato dalle pareti, facendole vibrare. Le urla si intensificarono, accompagnate dalla caduta improvvisa di oggetti. Il mio Padrone e suo padre stavano tenendo una discussione alquanto accesa e animata. Anche se lontana dal luogo della disputa, riuscii a capire l’argomento del contendere. All’udire le loro parole, mi si spezzò il cuore: era tutta colpa mia! Quella sera, padre aveva deciso di cancellare il sogno di Caravaggio, quello di addivenire il più celebre pittore del tempo, obbligandolo ad essere nel futuro un ufficiale militare. Avevo creduto nelle capacità creative di quel bambino, incoraggiandolo silenziosamente a realizzare il suo sogno, scoprendo infine, con molta amarezza, di aver dovuto essere lo stimolo per incoraggiarlo alla violenza della guerra. Ad un tratto, tutto si interruppe: le grida e i rumori di bicchieri e piatti che si frantumavano, ma per me doveva ancora arrivare il peggio … Udii dei passi pesanti, veloci, rumorosi, che salivano le scale, avvicinarsi alla porta socchiusa della stanza dove giacevo ansiosa, Caravaggio mi afferrò con rabbia e mi rinchiuse nel secondo cassetto della credenza angolare, situata nella sala da pranzo. L’avevo tradito senza sapere di averlo fatto.

Da quella fatal sera, le liti tra padre e figlio continuarono e io divenni l’ossessione di Michelangelo Merisi, convinto che gli avessi strappato il suo sogno, quello prezioso di un bambino.

Trascorsi infiniti anni in solitudine, nel medesimo e buio cassetto, dimenticata dal mio padre fino a quel giorno…

Era la domenica sera del 28 maggio 1606 e la tranquillità occupava la casa. Quella sera mi ripromisi che, dal mio ripostiglio, avrei ascoltato la dolce musica dei festeggiamenti per il primo anniversario dell’elezione del papa riecheggiare per le strette vie di Campo Marzio. Purtroppo il mio programma non venne rispettato: ad un tratto il cassetto si aprì e io scivolai tra le mani callose del Padrone. Non compresi subito le sue intenzioni, ma capii che non erano benigne. Il suo corpo si muoveva freneticamente e le sue mani addentavano la mia impugnatura. L’aria attorno era intrisa dell’inebriante profumo di quello strano liquido un po’ acidulo, color rosso sangue, che spesso inghiottiva in gran quantità, trasformando il suo viso in una maschera che ne alterava i tratti … Forse fu questa insignificante bevanda, chiamata vino, la vera causa che lo indusse a inserirmi nella tasca esterna più ampia dei pantaloni e a condurmi nel luogo in cui avvenne la morte perenne della sua anima. Nella stradina romana delimitata ai lati da Palazzo Borghese e Palazzo Firenze, aspettavano ansiosi il suo arrivo due distinti gruppi di persone, pronte a. iniziare l’attesa partita di pallacorda. L’evento incominciò, ma di lì a poco si tramutò in un’irrefrenabile rissa tra le due squadre. Rimanevo nascosta nella tasca, cercando di ignorare il più possibile ciò che stava accadendo, mentre pugni e spinte mi facevano sobbalzare. Improvvisamente, la stessa mano che mi aveva portata fin lì, mi impugnò. Il nascondiglio non mi avrebbe più protetta dalla crudele realtà che mi attendeva. Un forte calore mi circondò sprofondavo repentinamente in qualcosa … Stavo uccidendo un uomo! Il mio Padrone mi aveva costretta a farlo.

Da quel fatidico giorno, un grande senso di colpa si impossessò dell’anima di Caravaggio e la sua coscienza non faceva altro che ripetergli senza sosta: “Hai posto fine alla vita di un uomo, per questo la morte busserà presto alla tua porta!”.

Così ebbe inizio la creazione di uno dei quadri più famosi della storia di. Caravaggio, la più truce di tutte le sue tele; noi, Davide con la testa di Golia, L’amaro pentimento per quello che aveva compiuto, lo portò a rinchiudere me, l’arma del delitto, assieme alla sua disperazione, in uno dei suoi tanti quadri. Il mio Padrone, ormai segnato dalle rughe del tempo, si lascia togliere la vita da un giovane e spensierato con la medesima spada che, guidata dalle sue mani, uccise un uomo.

I sorveglianti delle sale museali si posizionano nelle loro solite postazioni. È il segnale: il portone principale è oramai pronto ad accogliere altre comitive di turisti. Ha inizio una nuova giornata di visite. Odo voci di bambini, adulti e anziani avvicinarsi sempre di più, assieme al fastidioso rumore delle macchine fotografiche e dei cellulari che, con gli innumerevoli flash, rovineranno pure oggi la “pelle” chiara e sensibile di Davide e faranno divenire la mia lama sempre più opaca.

Un bambino si sofferma davanti alla nostra tela, prestando particolare attenzione e ispezionando la mia lama. Ha inizio uno sguardo reciproco. Lo osservo con fare acuto e capisco che non è come tutti gli altri; in sé ha qualcosa di speciale, di unico. La spada di legno, che impugna geloso, attira la mia attenzione: sulla finta lama riesco a leggere la scritta “H-AS OS”, le medesime lettere incise sul mio filo …