Nessuno possiede nessuno

NESSUNO POSSIEDE NESSUNO

Chiara Turchet

IC Pordenone Torre

 

Nessuno perde nessuno

perché nessuno possiede nessuno.

Questa è la vera esperienza della libertà;

avere la cosa più importante del mondo senza possederla.

(Paulo Coelho)

 

Il coltello affettava con precisione e velocità le carote e i cetrioli, producendo un suono ritmico che mi era familiare. Il cous cous alle verdure era un piatto che mio padre cucinava spesso e che adoravo da quando lo avevo assaggiato per la prima volta in vacanza in Marocco. Ricordo ancora la reazione che avevo avuto quella volta ignara del fatto che lì quel piatto veniva servito con una salsa piccante detta harissa, a base di peperoncino, olio e aglio, e la risata giocosa e complice dei miei genitori. Quella vacanza era stata una delle ultime occasioni nelle quali li avevo visti felici e sereni.

Mio padre Marco era un operaio specializzato in una nota casa automobilistica, mentre mia madre lavorava come infermiera all’ospedale di Fossano. Una famiglia normale, come tante altre, ma al rientro da quella vacanza qualcosa era decisamente cambiato.

Mio padre, che fino a quel momento era sempre stato premuroso e attento a ogni mia azione, era diventato nervoso e apatico. Aveva smesso, per esempio; di farmi il terzo grado quotidiano sull’andamento delle mie performance scolastiche e la predica sull’uso corretto del cellulare. Avevo notato, poi, che aveva rinunciato alle sue uscite settimanali dedicate alla corsa e alla piscina e più volte lo avevo sentito vagare di notte lungo i corridoi di casa. Tentavo di chiedere alla mamma qualche spiegazione, senza ottenere alcuna risposta soddisfacente.

Mi svegliavo, andavo a scuola e tornavo con l’autobus numero 7, che si fermava poco prima di casa mia. Un giorno, appena aprii il portone, sentii un gran vociare, urla maschili si sovrapponevano a quelle femminili, voci familiari ma nello stesso tempo estranee perché scomposte e sguaiate nei toni; non sapevo cosa stesse succedendo, me lo domandavo da giorni, ma non trovavo alcuna risposta, che forse non volevo davvero ottenere, tentando di convincermi che fosse tutto normale.

La sera mangiammo il cous cous che il papà aveva preparato la mattina, ma non lo gustammo con
l’allegria e la serenità di sempre. Le stesse verdure, che solitamente venivano tagliate alla perfezione, sembravano essere state sminuzzate distrattamente, che strano! II papà aveva comprato un coltello tagliaverdure fatto venire apposta da una delle coltellerie di Maniago per preparare questo piatto, perché diceva, era sicuro della qualità: lama di 7 centimetri in acciaio inox tranciata a profilo totale con finitura satinata, manico nero in materiale antiscivolo.

“Wow!” avevo pensato, quando me lo aveva mostrato, e io che non sapevo nemmeno dove fosse Maniago.

Il cous cous parlava chiaro: mio padre era cambiato!

Anche mia mamma non era più la stessa: prima usciva di rado la sera, invece ora andava spesso a cena con fantomatiche amiche e rientrava molte volte più tardi del solito dai suoi estenuanti turni di lavoro. Se c’era stato un incremento esponenziale delle patologie virali nella nostra zona, i media non ne avevano dato notizia.

“La lama del coltello affettava con precisione millimetrica le carote, producendo quel suono ritmico familiare, ma improvvisamente una chiazza color rosso sangue inondava piano di lavoro…” Mi svegliai di soprassalto! Balzai su di scatto a sedere col respiro affannato e cuore in gola. Succedeva sempre allo stesso istante, prima che al mio inconscio fosse concesso di capire se quella fosse la realtà o il set di un film splatter come Kill Bill. Quel terribile sogno si ripeteva periodicamente e stava diventando un angosciante incubo, anche perché dr. Google sosteneva che sognare un coltello evocava la presenza di nemici nella vita del sognatore, ma anche la possibilità di vivere brutte esperienze nella sfera affettiva.

Un mattino la prima guancia tumefatta di mia madre mi fece aprire gli occhi e compresi che dovevo smettere di mentire a me stessa fingendo che tutto fosse normale in famiglia. Avevo sentito parlare di femminicidio, di violenza sulle donne al telegiornale, ma ritenevo che questi accadimenti avvenissero lontano dalla mia realtà, anche se più volte avevo pensato a come si potesse sentire un bambino rimasto per ore accanto ai corpo inerme della madre, alle immagini che sarebbero rimaste impresse nelle sue viscere come un tatuaggio virtuale e che sarebbero diventate la carrozzina emotiva su cui si sarebbe seduto per tutta la vita.

“Ero nel mio letto… sentivo dei rumori strani e delle urla femminili provenire dal corridoio… mi alzavo e con il cuore in gola andavo a spiare dalla porta della cucina: vedevo mia mamma, ma non era da sola, con lei c’era un uomo, nella sua mano destra un coltello…”. Gli occhi si spalancarono! Mi mancava il respiro! A poco a poco le immagini diventarono nitide, ero sveglia di nuovo, e senza certezze. Non volevo più sognare, volevo sapere, volevo capire, volevo aiutare.

Iniziavo ad avere paura, in casa c’era un’aria gelida e i miei genitori mi parlavano di rado, cosa potevo fare? Dovevo assolutamente scoprire cosa stesse succedendo e difendere mia madre, a qualunque costo. Avevo saputo che si era fatta medicare le escoriazioni a un braccio dalle sue colleghe del pronto soccorso, quindi i litigi violenti stavano continuando e la situazione stava degenerando sempre più.

Un sabato sera accettai l’invito di una mia compagna della squadra di ginnastica artistica e andai alla sua festa di compleanno per tentare di distrarmi dalle mie preoccupazioni quotidiane. Purtroppo, il risultato non fu quello desiderato, perché venni a conoscenza del fatto che mia mamma aveva incontrato il padre della mia amica nel suo studio: era un avvocato divorzista.

A ciascun uomo potrebbe capitare prima o poi di sentirsi respinto, abbandonato, tradito, fa parte del percorso della vita, che sottopone a prove continue, ma queste sensazioni non si dovrebbero mai trasformare in ossessioni. È proprio in questi momenti che si vede veramente la forza di una persona: uno può rifiutare la sconfitta e tormentare colei da cui viene respinto, e allora si sarà rivelato un debole, oppure potrà farsi forza e trasformare il suo sentimento in rispetto, lasciandola andare in pace. Per un po’ starà peggio, ma, appena riemergerà dalla sofferenza, sarà diventato la persona di cui abbiamo bisogno: un vero uomo!

L’amore, come ci ha insegnato Platone, consiste nel desiderare il bene della persona amata anche quando non coincide con il nostro. Consiste nel dare, non nel ricevere.

Rimediai un nove e i complimenti della professoressa per questi pensieri nel tema di Italiano, ma era una magra consolazione: i miei si stavano separando e mio padre picchiava mia madre!

Col passare delle settimane, mi sentivo sempre più impotente, stanca, delusa. Un turbinio di pensieri mi affollava la mente, confondendomi, agitandomi, lasciandomi completamente in preda all’ansia. Non vedevo la luce in fondo al tunnel, non c’era nessuno ad asciugare le mie lacrime, a spiegare a una ragazzina le incomprensibili follie degli adulti.

La lama del coltello rifletteva la luce dello schermo del mio smartphone mentre avanzavo come un automa nel corridoio. Man mano che mi avvicinavo alla porta della camera, sentivo più nitidamente il russare di mio padre… poi la lama affondò disperatamente nel suo corpo… una, due, tre volte…

Ero consapevole che non avrei dovuto chiedere un paio di ali per raggiungere in cielo mia mamma. Lei era salva!