La città delle coltellerie

LA CITTÀ DELLE COLTELLERIE

Anna Fecchio

Liceo “J. Da Ponte”, Bassano del Grappa

 

Sono Susy Massaro e vivo in un piccolo paese friulano, Maniago. Ciò che sto per raccontarvi potrà risultarvi assurdo eppure, ve Io assicuro, è accaduto realmente. Avevo sedici anni quando mi innamorai veramente per la prima volta; frequentavo la terza di un liceo artistico e nella mia classe, lo dico sinceramente, non c’erano mai stati ragazzi molto carini. Ma quell’anno, già il primo giorno di scuola, qualcosa cambiò: arrivò un nuovo compagno di classe, un ragazzo bocciato che, vi assicuro, era bellissimo. Ma non uno di quei bellocci che si possono trovare in giro, era davvero carino: aveva due occhi azzurri come il mare, un sorriso smagliante e dei capelli colar castano scuro che gli ricadevano a ciocche sulla fronte.

Quando lo vidi per la prima volta rimasi allibita, e ogni volta che incrociavo il suo sguardo mi sentivo quasi svenire. Non potevo crederci che un ragazzo che avevo conosciuto da neanche mezz’ora potesse farmi questo effetto! Per tutti i giorni successivi continuai ad ammirare la sua bellezza, ma sempre da lontano. Invidiavo molto le mie compagne che andavano sempre a parlargli, ma se ci avessi provato io avrei detto una marea di cavolate e sarei diventata rossa come un peperone. Così decisi di stargli lontana, ma nonostante tutto non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso. Mi faceva uno strano effetto, non saprei nemmeno ora dire cosa, ma c’era qualcosa di lui che mi attirava a sé come una calamita, e ogni volta che lo vedevo sentivo le farfalle svolazzare allegramente nello stomaco.

Tutto questo, per me, era molto strano, non mi era mai capitato di provare queste cose: arrivavo a casa e non riuscivo nemmeno a studiare perché la mia testa pensava sempre ad altro, e quell’ “altro” era proprio lui. All’inizio era strano, ma bello, dopo un po’ però questa cosa cominciò a diventare ossessionante… Pensavo a lui dall’istante in cui aprivo gli occhi al mattino fino al momento in cui me ne andavo a dormire, eppure quando me lo trovavo davanti non avevo mai il coraggio di parlargli.

Dovevo fare qualcosa… Così ne parlai con la mamma, ma fu peggio che tempesta!

Mi disse che i ragazzi bocciati sono spesso maleducati, superficiali e poco intelligenti… In poche parole mi disse di stare alla larga. Ci rimasi molto male. Non ero assolutamente d’accordo con lei perché, a mio avviso, al cuore non si comanda: trovavo ingiusto che qualcuno potesse decidere, al posto mio, per chi il mio cuore dovesse battere. Allora cominciai a informarmi su di lui, volevo sapere qualcosa su Marco, così si chiamava, e scoprii che abitava in una piccola palazzina vicino a casa mia e che passava la maggior parte dei pomeriggi ai piedi di una collina in un casolare abbandonato.

Un giorno decisi di andarci pure io: mi avvicinai e cercai di sbirciare dalla finestra. Stava facendo qualcosa di molto preciso, che, però, non riuscivo a capire. Aspettai che se ne andasse, poi entrai e vidi qualcosa di stupendo e meraviglioso, che mai mi sarei potuta immaginare. La casa era per la maggior parte decorata da incisioni, che non erano altro che disegni: ce n’erano dei più svariati, per esempio un ragazzo che giocava a calcio, un altro tenuto per mano dal padre, un altro ancora che scherzava coi suoi amici…

All’inizio non capivo moltissimo, ma poi intuii che forse quelle immagini raffiguravano la sua vita: la passione per il calcio, l’amore per il padre, l’amicizia… e ne rimasi veramente meravigliata, era tutto così bello! Ad un certo punto notai, a terra, un coltello, che molto probabilmente usava per quelle incisioni e una strana idea mi balenò nella mente. Mi sembrava assurdo, ma d’altronde era l’unico modo con cui sarei riuscita a rapportarmi con lui, così presi il coltello e cominciai a scrivere su una parete, “Ciao Marco, ero nei paraggi, quando ti ho visto entrare qui. Incuriosita, sono venuta a dare una sbirciatina e sono rimasta estremamente colpita da queste incisioni. Scommetto le hai fatte tu, beh, complimenti! Sono veramente stupende. Forse ti starai chiedendo chi sono, ma per ora voglio lasciarti col dubbio. Attendo risposta, ciao.” Ora presumo vi stiate chiedendo perché non potessi mandargli un semplice messaggio, beh ecco, questo diventa un po’ complicato quando i genitori vi controllano perennemente il telefono e soprattutto quando ad essi non piace proprio la persona in questione. Così, come si dice, “a mali estremi, estremi rimedi”, ho deciso di scrivergli in un modo diverso, sicuramente più originale. Oltretutto amavo l’alone di mistero che circondava un ragazzo bello ed enigmatico.

Qualche giorno dopo tornai e sperai con tutto il cuore di trovare una sua risposta. Entrai, controllai che non ci fosse nessuno, e poi, con mia grande sorpresa, mi voltai verso la parete e trovai la risposta. “Ciao. Grazie per i complimenti, mi piacerebbe molto sapere chi sei… P.S. se sei un amico e mi stai prendendo in giro, sappi che è uno scherzo di pessimo gusto.”

Allora impugnai il coltello, pronta a rispondergli, ma capii che questa cosa non poteva funzionare, oltre a questo non volevo che si sentisse preso in giro, per cui decisi che la settimana successiva mi sarei presentata. Riposi il coltello e, per la prima volta, notai un’incisione su di esso: c’erano due iniziali, “A.C.”, e sotto “ricordati di me”. Osservai attentamente e ne rimasi molto colpita: cercai prima di tutto di individuare chi potesse essere quell’A.C.”, ma non capivo… Certo Marco faceva di cognome Antonini, ma quella “C” non riuscivo ad identificarla.

Pensierosa, me ne tornai a casa, decisa che presto gli avrei parlato per la prima volta e gli avrei anche chiesto del coltello. Nel frattempo i giorni a scuola passavano, le giornate scorrevano sempre con il solito pensiero fisso, fino a quando decisi, finalmente, di affrontarlo. Cercai dei bei vestiti, mi truccai un pochino, giusto per non apparire un mostro già al primo “appuntamento”, e mi diressi da lui. Lo vidi e, super imbarazzata, mi avvicinai. Ma cosa gli avrei detto? Ci guardammo per un istante, poi lui sorrise e non potei farci più nulla, mi aveva già sciolta. Era veramente stupendo. Capii però che non potevo stare tutto il tempo lì impalata, così cominciai a raccontargli qualcosa di me; lui ascoltava con molta attenzione, silenziosamente. Poi toccò a lui, che mi raccontò della sua passione, che come avevo potuto intuire era il calcio, e mi disse che amava tantissimo l’arte: quelle incisioni le realizzava con tutto se stesso.

Era dolce, molto, e sentirlo parlare mi dava una bellissima sensazione: la sua voce mi calmava, mi rasserenava… Ad un certo punto gli feci la fatidica domanda, riguardante il coltello, e lì il suo volto si incupì. Mi squadrò per un attimo e poi, a testa bassa, mi disse: “Allora, non è molto facile da raccontare… mio padre è morto quando avevo solo dieci anni, era il mio `supereroe’, giocavamo tutti i giorni al parco e mi portava spesso a vedere le partite di calcio della nostra squadra preferita. Ogni sera, mi leggeva una nuova storia e con i suoi abbracci della buonanotte mi sentivo al sicuro, protetto. Purtroppo però era gravemente malato, io non lo sapevo, così un giorno, d’improvviso, lo scoprii e fu il giorno in cui lo vidi per l’ultima volta. Fu quando si sentì male, chiamammo l’ambulanza ma non ci fu nulla da fare. Ebbi l’impressione che il mondo stesse per crollarmi addosso, fu un periodo straziante. Ero sempre più giù e i miei voti a scuola si abbassarono drasticamente. Non ero più come prima, ma poi, finalmente, qualcosa riuscì a ridarmi la forza di continuare, e quella cosa è proprio questo coltello. Forse ho tralasciato un dettaglio… Mio padre realizzava coltelli, era la sua passione: aveva un suo negozietto in cui lavorava senza sosta, e a volte ci andavamo pure insieme. Questo era il suo preferito, che ha deciso di regalarmi pochi giorni prima di morire. Lo ha consegnato a mia madre chiedendole di darmelo quando fossi diventato un po’ più grande e ora che ce l’ho lo porto sempre con me. Capisci, è l’unico modo per sentire che mio padre è ancora qui, e realizzando le incisioni, con questo coltello, mi sembra di donargli una parte di me.”

Lacrime scendevano dal suo volto e nel sentire queste parole non potei fare altro che abbracciarlo: è stato un abbraccio forte, intenso, che non dimenticherò mai. Ci guardammo intensamente e dopo un po’ ci fu il bacio: il primo della mia vita, che penso non potessi dare a persona migliore.

Marco Io sentivo dolce, vero e sensibile. Mi affascinava, davvero.

Continuammo a vederci per giorni, mesi, addirittura anni…

Dopo un po’, la sua passione diventò anche la mia: cominciammo ad incidere insieme, rappresentando ciò che più rappresentava la nostra di vita, quella che stavamo conducendo insieme. Furono momenti bellissimi. Passò il tempo, ci sposammo e Marco mi insegnò anche come suo padre realizzava i suoi coltelli. Tutto ciò mi affascinava, tanto che un giorno gli feci una proposta: pensai che forse la cosa migliore per lui sarebbe stato continuare a coltivare la passione del padre, per tenerlo per sempre vivo nel suo cuore. Così gli chiesi di aprire insieme una piccola bottega, dove avremmo creato i nostri coltelli. Mi sembrava una cosa molto bella e romantica, dato che era proprio grazie a questi che c’eravamo conosciuti davvero. Lui accettò entusiasta e decise che il casolare sarebbe diventato il nostro negozio: fu ristrutturato e divenne stupendo. I clienti apprezzavano moltissimo le nostre creazioni e si interessavano sempre di più ai coltelli.

Lo chiamammo “La città delle Coltellerie” e devo ammettere che ha avuto molto successo. Non so se vi siete già informati ma, a dirvela tutta, Maniago viene chiamata proprio così: “Città delle Coltellerie”, in onore della nostra produzione di coltelli.