Messaggio in una bottiglia

MESSAGGIO IN UNA BOTTIGLIA

Thomas Miceu

ISIS “Bonaldo Stringher”, Udine

 

“Non è una malattia, ma ancora troppe persone pensano sia così.

È diverso, certo. Rompe gli schemi tradizionali, certo.

Ma diverso è male? Diverso è sbagliato? …”

6 dicembre 2015.

Chi porta con sé un cavatappi sulla propria isola deserta?

Io non lo avevo.

Camminavo sulla spiaggia.

Faceva freddo e si stava facendo buio, quando un riflesso di luce aveva attirato la mia attenzione tra sabbia e onde. Una bottiglia. Una bottiglia con un pezzo di carta arrotolato dentro. Un tappo di sughero troppo difficile da togliere per poter leggerne il contenuto. Avevo una voglia incredibile di sapere cosa dicevano quelle righe che intravedevo attraverso il vetro.

Ero solo su quel bagnasciuga, nessuno poteva darmi una mano.

Sentivo un grande senso di smarrimento, avevo bisogno di risposte per capire come poter continuare a vivere il mio futuro. Mi sentivo estremamente solo e non potevo fermare le lacrime che iniziavano a scendermi sulle guance e sparivano tra le onde del mio mare.

Un mare in cui non riesco a riconoscere il mio riflesso. MI sento curata nei minimi dettagli: le mie sopracciglia perfettamente delineate, le ciglia lunghe e gli zigomi piccoli e alti. I capelli scuri definiti in un bel caschetto con la frangia, miei orecchini brillanti e pendenti. Il mio bellissimo abito rosso corto con la gonna a palloncino. Ciò che vedo nell’acqua, dai contorni sbiaditi, è un ragazzo poco curato con la barba e i capelli corti. Sta indossando una maglietta militare e un paio di jeans scuri e larghi.

Mentre Io fisso con un sentimento crescente di disprezzo, mi torna alla mente la classica domanda che i parenti e gli amici di famiglia (quelli che per intenderci vedi solo in occasione delle feste) ti fanno sempre: “Allora, hai trovato la fidanzata?”.

Fidanzata. Non ho mai pensato a questa parola però tanti miei amici ne hanno una. Anche i miei tre cugini ce l’hanno. E io? Perché io non la voglio? Cosa c’è che non va in me?

Mi sono seduto un attimo, preso dallo sconforto. Proprio in quel momento, in quel mio silenzio, ho Iniziato ad ascoltarmi nel profondo. Avevo la risposta: io voglio un ragazzo al mio fianco, perché mi sento donna. Sono una donna nella mia anima.

Da quel momento in poi ho iniziato ad avere paura. Temevo le reazioni delle persone e mi sono chiuso in una silenziosa tristezza per tre anni. Un lungo periodo di prese in giro e insulti ai quali non sapevo reagire.

 

20 aprile 2018.

Sono ritornato nella mia isola. Mi ero dimenticato di quella bottiglia, non l’avevo più aperta ed era rimasta là, con quel messaggio che aspettava solo di essere letto.

Questa volta però non ero solo, avevo portato mia mamma con me.

L’ho fatto perché gliene avevo parlato e lei non vedeva l’ora di accompagnarmi in questo viaggio. Abbiamo iniziato a correre assieme, c’era un sole bellissimo e l’aria era tiepida.

Sorridevo come non capitava da tanto e mi sentivo leggero finalmente.

Mia mamma, da quando è venuta a far parte della mia isola, mi ha aiutato molto a superare tutto gli ostacoli che mi si presentavano (e che si presenteranno ancora).

Mentre correvo con lei sentivo che qualcosa mi batteva in tasca.

Le ho chiesto di rallentare.

Ho abbassato la testa e ho tirato fuori dalla tasca un cavatappi. Era sempre stato lì, pronto ad essere usato. Aveva una parola scritta sopra: acc…accettazione!

In quell’istante tutto era più chiaro, ero pronto ad aprire la bottiglia che il mio mare mi aveva donato.

Ho stappato quel tappo di sughero e ho tirato fuori il foglio.

“…No, diverso non è male. Diverso non è sbagliato. Questo sono io e va tutto bene così.”