Sogno tagliente

SOGNO TAGLIENTE

Mauro Zamuner

Liceo “E. Galvani”, Cordenons

 

Eccomi qui. In realtà, non so dove sia questo “qui”… Ad ogni modo, così comincia la mia storia, anche se del mio passato non ricordo molto, quindi non c’è nemmeno una storia da raccontar… Comunque, eccomi qui, in questo posto buio. Vorrei tanto poterlo descrivere ma non si vede nulla e questa forse è la parte peggiore. Sono solo. Tutto ciò che ho sono io, la mia bisaccia, un’esile torcia e un pugnale, un bellissimo pugnale. Non ricordo nulla di come sono arrivato fin qui, di dove ho lasciato gran parte dei miei oggetti come la mia bussola o il mio sacchetto di monete… non ricordo nemmeno come ho fatto ad avere questo pugnale, tra l’altro mai visto prima. Continuavo a rigirarlo tra le mani, illuminandolo con quella misera luce che avevo a disposizione, nella speranza che riaffiorasse in me qualche ricordo, ma… nulla. Era splendido, sicuramente valeva una fortuna, la qualità dell’oggetto era ineguagliabile: un pregiato pezzo di ferro forgiato e lavorato dal più abile fabbro esistente, affidato alle delicate e precise mani di un artigiano che, con grande maestria, vi aveva inciso una complessa decorazione con un testo in un’antica lingua dimenticata e infine montato su un manico altrettanto lavorato in ebano, come se i due elementi fossero diventati uno solo e si fossero fusi tra loro. Osservavo ogni suo dettaglio, ogni sua piccola incisione, del resto non avevo molto altro da fare… La lama era perfetta, neanche una minima scheggiatura, il filo era un’unica sottilissima linea che nulla aveva osato interrompere: non era mai stato usato. Pensavo, pensavo a dove mi trovavo e da dove proveniva quell’oggetto misterioso…quand’ecco che noto un particolare su cui non mi ero ancora soffermato: al centro della lama c’era una fessura lunga e stretta, come una dorsale. Avvicinando ancora di più la torcia, forse troppo, le incisioni cominciano a brillare e sulla parete si proietta una lunga fascia di immagini colorate, una storia: il pugnale conteneva una storia. Confuso e stupito guardo il muro, come poteva un pugnale fare una cosa del genere?! Mi era bastato spostare di pochissimo la fonte di luce per capirlo: la fessura era in realtà l’alloggio di un sottilissimo inserto in vetro dipinto, quasi invisibile. Che si trattasse di un messaggio nascosto? Beh, se non posso raccontare la mia storia allora racconterò questa, qualunque essa sia. Chissà, magari nel frattempo mi tornerà in mente qualcosa sul mio passato… La prima immagine è un’oscura bottega: una fornace che illuminava a stento la stanza, una grossa incudine e un vecchio fabbro che batteva con forza un pezzo di ferro incandescente. Ad un tratto qualcuno aprì la porta, ma l’anziano maestro non si fece distrarre. Era un giovane cavaliere venuto a ritirare il suo pugnale. Allora l’anziano lasciò da parte il suo lavoro e si avvicinò ad un grosso baule, io apri, tirò fuori l’oggetto avvolto in un panno e lo consegnò al giovane guardandolo fisso negli occhi come a dire “attento a come tratti questo coltello: è un’opera d’arte”. Dopodiché il ragazzo chinò il capo in segno di riconoscenza e se ne andò.

Questo manufatto di grande valore passò per diverse mani attraverso i secoli, conobbe deserti, giungle e mari, ma nessuno lo aveva mai usato per uccidere. Era talmente bello e prezioso da essere ritenuto da molti una tentazione del diavolo, ma soprattutto era considerato una maledizione che portava alla pazzia. Tutto ciò che si sapeva con certezza era che non aveva mai conosciuto il sangue se non quello versato per impossessarsene. Da qui cominciarono una serie dì vicende e delitti per poter avere questo mitico pugnale, fino al giorno in cui un re riuscì a trovarlo e decise di chiuderlo a chiave in un piccolo scrigno in modo che non potesse più creare problemi. Nella notte inviò due guardie a seppellire lo scrigno nelle campagne adiacenti al castello e le fece uccidere facendo sì che nessuno potesse sapere il luogo esatto del seppellimento. Col tempo la gente si dimenticò dello scrigno e tutto questo divenne una leggenda.

Un giorno, però, parecchi decenni dopo, i dintorni del castello furono edificati e una famiglia di contadini trovò il piccolo baule mentre scavava un pozzo. Per fortuna custodirono gelosamente il tesoro, tramandandolo di generazione in generazione e nessuno seppe del loro segreto. Così passarono gli anni, fino ad una sera di primavera, una sera molto speciale per la famiglia: il padre avrebbe dovuto affidare il tesoro di famiglia, Io scrigno, a un erede. Purtroppo, però, aveva un solo figlio, un giovane ragazzo che non aveva interessi per l’agricoltura. Ad ogni modo, dopo aver passato l’intera giornata per i prati, il ragazzo cominciò a prepararsi per il grande evento e, tornato a casa, trovò tutta la famiglia ad accoglierlo con una ricca cena. Alla fine di questa il padre si alzò solenne, aprì un grosso baule e dopo aver spostato vari oggetti tirò fuori un fagotto, lo poggiò sul tavolo e lo aprì: dentro c’era lo scrigno. Il figlio si avvicinò timidamente e il padre gli porse il prezioso cofanetto, senza dire nulla, solo guardandolo, mentre con gli occhi diceva “attento, è un’opera d’arte!”. Sembrava pensare “figlio mio, non sarai come me, non sarai quello che porterà avanti la famiglia, ma so che saprai cosa fare di questo oggetto”. Nessuno sapeva il contenuto dello scrigno, solo chi Io riceveva poteva aprirlo e doveva essere tenuto segreto per proteggere l’intera famiglia. Il ragazzo lo prese, chinò la testa in segno di riconoscenza e se ne andò – questa storia mi ricorda qualcosa però non capisco cosa e poi, il ragazzo mi è familiare… – Ad ogni modo, il ragazzo prese la sua bisaccia, fogli e pennini, una lanterna e uscì per andare in posto molto speciale che solo lui conosceva. Dopo qualche decina di minuti di cammino fu a destinazione: oltre il bosco, c’era una piccola altura su cui si ergeva un solo grande albero contorto. Lì il giovane si rifugiava dalla vita e passava ore a osservare la natura, scrivere poesie e disegnare le piante selvatiche per catalogarle e usarle come medicinali. Quella sera, però, non fece nulla di tutto questo, rimase seduto a terra, appoggiato al tronco con lo scrigno sulle gambe. Lo aprì con cautela e appena vide il pugnale rimase immobile: non aveva mai visto nulla di simile… nulla di così bello. Subito si mise a studiarlo e disegnarlo sui suoi fogli e, poco alla volta, mentre il tempo passava, si addormentò lentamente. Una serie di immagini iniziarono ad apparire nella sua mente: stava sognando. Cominciò a formarsi un ponte, frammento dopo frammento, mattone dopo mattone, che collegava l’altura su cui stava a un mondo lontano, troppo lontano per vederlo. Il ponte era lunghissimo, continuava a costruirsi da solo, forse i due mondi erano davvero troppo lontani, forse non aveva nemmeno una fine. Il ragazzo incuriosito si incamminò e iniziò a percorrere il ponte, ma subito sentì dei rumori alle sue spalle: la struttura si stava sgretolando, non poteva tornare indietro, stava lasciando la realtà! A quel punto aumentò il passo fino a correre, dato che in ogni caso non sarebbe potuto tornare indietro. I frammenti precipitavano sempre più in fretta e costringendolo ad accelerare, finché, non avendo più nulla sotto i piedi, si lanciò disperatamente in avanti. Nulla. Buio. Per un attimo non ci fu più niente, nessuna immagine. Solo dopo qualche istante una piccola fiamma cominciò a brillare, il ragazzo riprese coscienza, prese la torcia e si guardò intorno: solo oscurità. In lontananza vide dei riflessi a terra, si avvicinò cautamente e trovò il suo pugnale, nient’altro. Non sapendo che fare si sedette e osservò tutto ciò che aveva, continuava a far risplendere la lama finché scoprì una fessura che, se illuminata, proiettava una fascia di immagini… Esattamente come ho fatto io… L’ultima immagine è quella del ragazzo che guarda le immagini… E se fossi io? Forse è questo il messaggio del pugnale… Forse sono io il figlio del contadino e si spiegherebbe il perché di tutto questo… Il ponte mi ha portato qui in questo posto buio, ma se il ponte era il sogno del ragazzo vuol dire che posso uscirne svegliandomi, devo solo ricostruire il ponte e tornare sotto l’albero. E se non fosse veramente così? Io non ricordo di aver vissuto in mezzo ai campi, tantomeno in una famiglia di contadini. Vero o no, sono comunque bloccato qui e per ora questa è l’unica soluzione.

Comincio a correre dritto avanti a me: lo stesso modo che mi ha portato qui dovrebbe riportarmi indietro. Il ponte inizia a riformarsi sotto ai miei piedi e, percorrendolo alla massima velocità, improvvisamente mi sveglio sotto l’albero, sulla mia altura. Ce l’avevo fatta! Raccolgo velocemente tutte le mie cose e mi avvio verso casa per raccontare il mio sogno. Senza pensarci inizio a correre tutto agitato per ciò che mi era successo, e nella mia sbadataggine inciampo su una radice sporgente. Come un fulmine in una buia notte il pugnale mi squarcia il cuore: era tutto finito.

Mi sveglio di soprassalto, ansimando e sudando dall’agitazione. Senza rendermene conto rovescio tutto ciò che è sopra al mio tavolo e istintivamente porto le mani al petto per sentire la ferita: non c’era nulla, era tutto un sogno! Nulla di tutto questo era mai accaduto, non c’era nessun contadino, nessun ponte, nessuna storia, niente di niente. Avevo ancora in una mano una statuina in ebano che stavo scolpendo, mentre davanti a me c’era il coltellino che stavo usando, Io stesso che mi fu regalato da mio nonno con una sola raccomandazione “Attento: è un’opera d’arte, il tutto circondato da un’infinità di trucioli. Mi ero addormentato mentre stavo finendo uno dei miei lavori, forse per quella sera avevo esagerato. L’orologio segna le 3.47 del mattino, tutto è fermo. Spengo la luce e chiudo lo studio: ne avevo per un po’ di quel posto. Forse ero solo un po’ stanco, eppure sul mio tavolo c’era un coltello che non avevo mai visto…