Memorie intagliate

Miriam Simoncig (seconda)_cr_cr

Secondo classificato Miriam Simoncig

Istituto Comprensivo Cividale del Friuli – 3^ D

 MEMORIE INTAGLIATE

Era ripida la salita, riuscivo solo a sentire il mio respiro affaticato, mentre con lo sguardo basso fissavo gli scarponi di Elena che mi precedeva. Avevo giurato a me stessa che non avrei mai mollato fino al Rifugio Giaf, quota 1400 m s.l.m.
Alex era il primo del gruppo e, come sempre, non riusciva a stare zitto.
Gridava a tutta la fila, che era impegnata a seguire il sentiero in mezzo al bosco, le sue battute da “macho”. Io, come tutti i miei compagni di classe, avrei voluto lanciarlo in qualche dirupo senza fondo, per potermi finalmente godere il silenzio di quelle montagne a primavera. Ma non potevo distrarmi e sprecare fiato, ero già l’ultima in coda e le solite principesse della classe non aspettavano altro: Marta che getta la spugna, con una mano nell’addome per la milza dolorante e seduta su uno spuntone di roccia. Sia mai! Non avrei permesso ai miei scarponi di fermarsi e, come d’improvviso, mi sentii scorrere nei muscoli delle gambe una nuova energia. Sembravo un alpinista determinato ad arrivare sul Cervino. Dopo tre o quattro tornanti mi ritrovai al rifugio prima tra le femmine della mia classe. Ero contenta come quando, a danza, riuscii per la prima volta a salire sulle punte.
Subito dopo il pranzo al sacco, apparecchiato su quei lunghi tavoloni, gli insegnanti ci lasciarono liberi di fare quello che volevamo. Sono una lettrice accanita e mi misi subito alla ricerca di un posto appartato per leggere in pace l’ultimo capitolo del libro di turno, pensando che domani ne avrei iniziato uno nuovo. Non ricordo perché tra tanti alberi quello mi sembrò più accogliente. Le sue eleganti e muscolose radici che affioravano tra le rocce erano l’ideale per una giovane iscritta a Greenpeace. Lessi a lungo e, senza rendermene conto, intanto accarezzavo il tronco.
In quel momento mi accorsi che in un punto, ricoperto dal muschio, c’era una sporgenza poco naturale. Scostai lentamente quel verde e un luccichio mi colpì. Trovai un coltellino dalla forma sottile. Gli diedi un’occhiata veloce e una carezza per pulirlo, ma subito lo misi nello zainetto, prima che qualche compagno avvisasse tutti della mia scoperta. La sera, mentre lo scuolabus rientrava, non riuscivo a togliermi dalla mente quel coltello. Chissà da quanti anni era lassù e di chi era?

“Vidi nel buio due figure. Un uomo piccolo e robusto e un altro più alto affrontarsi con dei coltelli. Si inseguivano sul pendio della montagna e si stavano avvicinando proprio al cespuglio dove mi ero nascosta. Il cuore incominciò a battere come un tamburo. Ad un certo punto uno dei due rimase colpito alla schiena e gridò, mentre l’assassino urlava “Gina è mia! Te l’avevo detto di non intrometterti!”
Rimasi senza fiato, anche perché la scena avvenne a una decina di metri dal mio nascondiglio. Fu allora che vidi quel simbolo appeso al collo del vincitore: era un cerchio con all’interno una mezzaluna e un falco in volo.
Per lo spavento fuggii di corsa verso casa chiudendomi la porta alle spalle. Fu solo dopo che pensai a tutto il rumore che la mia fuga aveva provocato. Pregai affinché l’assassino non mi avesse seguita. Al toc-toc sulla porta fu tale lo spavento che… mi svegliai tutta sudata sul sedile dello scuolabus. La mia immaginazione mi aveva giocato un brutto scherzo.
La serata passò tranquilla con papà e mamma e potei raccontare tutte le cose belle che erano successe: la camminata, la fatica, i paesaggi, le principesse rompiscatole, il pranzo al sacco. Ma del coltello non dissi nulla.
Aspettai un giorno intero prima di aprire lo zainetto della gita con il mio tesoro, anche perché mi serviva per la lezione di danza.
Il coltello aveva un manico in legno di rovere con un collarino in ottone e un curioso pulsante. Quando lo toccai in un istante la lama uscì, era affilata, anche se un po’ annerita dal tempo. Mi spaventai molto. Aver scoperto che era un coltellino a serramanico lo rendeva ancor più inquietante, quasi un oggetto magico. Alla base della lama c’era scritto Ausonia, mentre sul manico, inciso a mano un nome:

Mario B.

Feci una ricerca in internet e scoprii che era una piccola zuava a serramanico, un esemplare di coltello che gli Zuavi portarono in Italia al seguito delle truppe napoleoniche.
Notai subito che una delle due guancette del manico in legno era staccata e aveva perso la vite. La feci ruotare per vedere se si poteva riparare e quando guardai il retro vidi il simbolo che avevo sognato qualche giorno prima sull’autobus. Il sangue si fermò nelle mie vene.
Nei giorni seguenti non ebbi più il coraggio nemmeno di pensare a quel coltello nascosto nel fondo del mio comodino e cercai in tutti i modi di distrarmi.
Finché arrivò lui, Antonello, un nuovo studente che la preside mise in 3^. Era di Pordenone e io subito pensai tra me e me “un ragazzo che da Pordenone viene a Maniago, mah !?” Sembrava che però a quasi tutte la mie compagne questo particolare non interessasse, discutevano invece su chi per prima si sarebbe fidanzata con lui. Era un tipo solitario e leggeva molto durante la ricreazione. Fu lui che si avvicinò per primo durante un intervallo, incuriosito dal libro che stavo leggendo. Nelle settimane che seguirono la passione per la lettura ci portò a scambiarci i libri che ci erano piaciuti. Era intelligente e parlare con lui mi rallegrava.
Fu a ginnastica, durante il torneo di pallavolo tra classi, che notai sulla sua spalla un tatuaggio che risvegliò tutte le mie paure. Era proprio lui, lo stesso disegno, lo stesso falco e la mezzaluna! Una pallonata mi colpì in pieno volto visto che ero rimasta immobile in posizione di difesa. Fu lui a soccorrermi e a mettermi un asciugamano bagnato sulla guancia.
Ormai le coincidenze erano troppe e nella mia testa credevo di essere caduta in qualche maledizione. Dimenticai tutto perché per fortuna arrivò l’estate. Fui promossa e finalmente il premio tanto sperato, un viaggio a Londra per imparare l’inglese.
A settembre quando mancavano due settimane all’inizio della scuola mi ritrovai a fare un giro in bicicletta per i magredi, assieme ad un gruppo di amici e per coincidenza venne anche Antonello. Non era servito a niente tutto quel tempo trascorso senza vederlo. Parlammo tantissimo e persino in inglese per far vedere uno all’altro i progressi ottenuti. Ci separammo, senza accorgercene, dal resto del gruppo che pedalava spensierato, solo più avanti capii che lui aveva una meta.
Mi turbò molto vederlo dirigersi sotto il ponte Giulio, quel grande ponte in ferro color ruggine che a me faceva sempre un po’ paura attraversare. Eravamo sotto, nel letto del Cellina, vicini al paese di Vajont, quello degli sfollati dopo la tragedia.
Antonello lasciò cadere la bici e iniziò a salire lungo la scogliera che protegge la spalla del ponte. Si fermò a metà e lo vidi trafficare con un coltellino su una piccola lastra in pietra. Quando riuscì a toglierla lo vidi estrarre una tavoletta che mi pareva in legno. Poi ritornò di sotto, correndo lungo quello scivolo.
Mi venne incontro con la mano tesa e ebbi la sensazione che stesse per dichiararsi, visto lo sguardo dolce con il quale mi guardava e invece mi disse: “Mi fai vedere il tuo coltellino Zuava per favore?” Come faceva a sapere del mio coltellino? Non l’avevo mai fatto vedere a nessuno!
Tra l’altro l’avevo in tasca perché da un po’ di tempo avevo cominciato a credere che mi portasse fortuna e riparai persino da sola la vite mancante sul manico.
Non so perché ma glielo diedi e lui lo utilizzò subito per scolpire, su quella curiosa tavoletta, un cuore e i nostri nomi

Antonello B.

Marta S.

Poi si voltò d’improvviso e mi baciò sulla guancia.
Ero felice e lui mi confidò che ci teneva tantissimo a quel posto, glielo aveva indicato sua nonna. Proprio lì, suo nonno, le confessò che l’amava e nascosero il loro segreto inciso su quella tavoletta. Era un coltellinaio, ma pochi mesi dopo essersi sposato, dovette lasciare il suo amore, la sua casa e il suo lavoro per fare il soldato. Morì in montagna e non venne mai ritrovato.
Antonello mi fece vedere il retro della tavola e vidi un altro cuore e due nomi:

Gina Z.

Mario B.

Lascia un commento