IL PUGNALE DI HAKMAR III

 

La spedizione esplorativa di Peter Ford, egittologo di fama mondiale, partì alla volta del Cairo nella primavera del 1896.

Il professor Ford appariva visibilmente eccitato all’idea di scoprire i resti della piramide del faraone Hakmar III; i suoi studi conducevano senza alcun dubbio nella zona sud-est del Cairo.

Nel suo studio londinese adesso mancava la mappa che giaceva arrotolata al suo fianco durante il lungo viaggio, sulla quale era contrassegnata con una penna a inchiostro la zona delle ricerche.

I lavori procedettero nonostante le temperature iniziassero vistosamente a salire. “Eppure deve essere lì!”, esclamò a voce alta il dottor Ford strusciandosi la barba del mento con la mano sinistra. L’ingresso alla camera mortuaria del faraone Hakmar III doveva trovarsi nella parte sud della piramide, eppure fino a quel momento non era ancora stata scoperta dal gruppo di ricerca. Il professor Ford decise di tornare sul luogo degli scavi anche se ormai era quasi notte.

Una luna piena e luminosa vide stagliare la sua figura sulla cresta della duna che conduceva verso la piramide. Si fermò a pochi metri dall’altissima parete a sud e si accorse che qualcuno doveva aver scavato, scoprendo l’ingresso. Peter Ford deglutì due volte a secco, la salivazione era azzerata, i battiti cardiaci incontrollabili. La fronte corrugata e imperlata di sudore brillò argentea sotto i raggi della luna.

Chi mai poteva aver scavato e scoperto l’ingresso alla camera mortuaria senza che lui fosse stato avvisato?

Prima di introdursi nel cunicolo prese una fiaccola, poi si piegò su sé stesso e lentamente si sdraiò sulla sabbia e con le gambe si infilò furtivamente nel lungo tunnel. Mentre camminava accovacciato, il suo scarpone polveroso si scontrò con qualcosa.

Un lungo pugnale con una lama affilata e lucente tempestato di rubini, smeraldi e lapislazzuli giaceva insanguinato ai suoi piedi. Ford rimase attonito di fronte al magnifico oggetto.

Chi mai aveva potuto metterlo in quel punto? E soprattutto perché era insanguinato? Decise di proseguire attraverso il cunicolo verso l’agognata camera mortuaria, il vero fulcro della sua ricerca, portandosi dietro il coltello.

Il cunicolo si fece ancora più stretto e ripido, l’aria mancava e un’ansia sottile gli accorciava il respiro, ma l’entusiasmo di trovarsi finalmente a pochi metri dal suo grande sogno gli dette il coraggio di proseguire.

Ora lo spazio cominciava a dilatarsi, finalmente poteva quasi stare in posizione eretta, finché si trovò di fronte ad un ambiente ampio, una grande stanza affrescata con brillanti colori, come se un pittore avesse appena finito di dipingerla.

La camera culminava di fronte ad un sarcofago custodito da due gigantesche statue, figure umane con la testa felina.

Ford si guardò intorno stupito, con la fiaccola illuminò meglio e vide che nella stanza
regnava il caos: vasellame, statue, monili che dovevano far parte del tesoro del faraone si trovavano invece gettati per terra in ordine sparso.

Scansando con i piedi gli oggetti, posizionò la fiaccola dentro ad un vaso. Poi si avvicinò al sarcofago d’oro, ma con sua sorpresa si accorse di una mano che spuntava dal fianco destro della tomba.

Il cuore riprese a battere velocemente, molto velocemente.

Afferrò nuovamente la fiaccola e a piccoli passi si avvicinò al corpo esanime. Si trattava di un uomo piuttosto giovane, riverso su un fianco; sul pavimento brillava una grande pozza di sangue denso.

Ford ripensò al pugnale che aveva trovato all’ingresso e si rese conto che quell’uomo poteva essere stato assassinato proprio con quell’arma.

Si guardò nuovamente intorno e si accorse che ad una della due statue guardiane del sarcofago era stato sottratto proprio un pugnale, infatti la sinistra aveva in mano la stessa arma, mentre a quella destra mancava.

Un pensiero gli attraversò la mente, nonostante la situazione: che splendida civiltà quella degli antichi egizi, oltre ad essere astronomi, architetti, conoscitori delle sacre geometrie, dei misteri dell’universo e molto altro ancora, erano anche abilissimi cesellatori.

Quel manico di pugnale parlava chiaro, un trito di lapislazzuli mescolato a pagliuzze d’oro, come una sabbia preziosa lambiva i castoni dei rubini, rossi come il sangue che aveva sparso l’assassino e gli splendidi smeraldi che si trovavano anche incastonati negli occhi delle due statue guardiane.

La lama molto affilata d’oro zecchino culminava con la punta rivolta verso l’alto, come una piccola sciabola.

Il momento di ammirazione e stupore si concluse all’improvviso quando la fiamma della fiaccola cominciò a perdere vigore. Bisognava uscire velocemente per non rimanere al buio della piramide.

Prima di andarsene, Ford decise di ispezionare meglio il cadavere: nella mano destra teneva ancora stretto un bottone con incisa la lettera “H”; riuscì a malapena a toglierlo dalle dita del morto, prima di ripercorrere all’indietro la strada verso l’uscita. L’aria si fece di nuovo pesante, mentre ritornava sui suoi passi la sua mente continuava a proiettare le immagini di quella misteriosa notte.

Un cunicolo, una fiaccola, un pugnale insanguinato, parte del tesoro del faraone sparpagliato sul pavimento, il cadavere di quel giovane sicuramente egiziano, gli occhi di smeraldo di quelle grandi statue guardiane che sembravano custodire ben più di un segreto e quel magnifico gemello del pugnale mancante. Ma la cosa che compariva più spesso come un flash nei suoi occhi era quel bottone che in qualche modo gli pareva così inspiegabilmente familiare.

Tornò all’accampamento che già albeggiava, gli uomini cominciavano a pullulare intorno alle tende.

Chi con le pale era già pronto a partire per la spedizione della mattina, chi con turbante e tunica bianca slegava i cammelli.

Edward Smith, professore alla Cambridge University, che faceva parte del team di ricerca, quella mattina sembrava essersi volatilizzato.

Ford entrò nella sua tenda ma pareva non esserci traccia del suo passaggio.

Così cominciò a domandare in giro se qualcuno lo avesse visto, in fondo avevano lavorato insieme alla scoperta e avrebbe voluto condividerla con lui, ma la cosa che più lo turbava in quel momento era l’immagine di quel povero ragazzo assassinato nella piramide di Hakmar.

Chi poteva aver compiuto un gesto di tale efferatezza?

Bisognava indagare, scoprire il colpevole, impedirgli di compiere altri gesti così cruenti.

Il caldo iniziava a farsi torrido fin dalle prime ore del mattino.

Ford, stanco e sudato, percorse la duna che separava l’accampamento dal Nilo.

Con sua sorpresa vide accovacciato sulle sponde del fiume Edward che si lavava il volto: “Cosa ci fai qui? Ho bisogno di parlarti”.

Ford si avvicinò scendendo a grandi passi la duna; finalmente qualcuno con cui poter condividere quell’incredibile sconvolgente esperienza: “Edward ti ho cercato ovunque, ho scoperto qualcosa di veramente incredibile. Non riuscivo a dormire e ho sentito l’irrefrenabile impulso di correre agli scavi: indovina un po’… qualcuno aveva scavato esattamente nel punto preciso dell’ingresso alla camera.

Allora sono entrato ma ho trovato il cadavere di un ragazzo egiziano che era stato accoltellato con un pugnale. Inoltre nella sua mano c’era un bottone”.

Ford a quel punto si frugò nella tasca ed estrasse il bottone.

Si accovacciò di fronte ad Edward: “Ecco guarda, questo è il bottone”.

Un istante dopo averlo esclamato si accorse dello sguardo freddo del suo interlocutore. Le grandi iridi cerulee e opache di Edward lo fissavano inespressive.

Sembrava proprio che quello sguardo fosse spento.

Ford si interruppe improvvisamente quando si accorse che dal colletto della giacca del suo collega mancava proprio un bottone con la lettera “H”.

“H” come Harrod’s, i grandi magazzini londinesi vicini agli studi della “Archeology British Corporation” dove entrambi lavoravano alla ricerca della tomba di Hakmar III ormai da anni.

Insieme avevano fatto molte ricerche, erano partiti entusiasti per la spedizione in Egitto, avevano preso parte alle ricerche a pieno ritmo, scavando sotto il sole cocente, studiando la mappa, facendo congetture di ogni tipo per giungere al ritrovamento del tesoro e del prezioso sarcofago.

“Sono arrivato prima di te, la scoperta è mia, solo mia! Il tesoro appartiene a me”. Così dicendo lo sguardo dell’assassino fu pervaso da una luce sinistra.

I due lottarono sulle sponde del fiume, rotolandosi nel terriccio come due animali. Ford aveva ancora in tasca il pugnale del guardiano della piramide.

Edward cercò di strangolarlo. Lo gettò a terra sovrastandolo con la sua imponente mole e proprio mentre sembrava aver la meglio, il pugnale, che durante la colluttazione si era posizionato verticalmente, trafisse involontariamente il torace dell’assassino, il quale rotolò esanime nel Nilo.

Così si era avverata la maledizione di Hakmar III, che era dipinta sulle pareti della camera sepolcrale, che Ford poté finalmente decodificare soltanto alcuni giorni più tardi, dopo aver espletato tutte le formalità del caso.

Per sua fortuna l’intera scena era stata vista da alcuni testimoni che scagionarono immediatamente il professore.

Adesso i pugnali brillano di nuovo nel fodero dei due guardiani.