Dal mio punto di vista

DAL MIO PUNTO DI VISTA

Gaia Antonellis

IC “T. Vecellio”, Sarcedo VI

 

Mi hanno tramandato da generazioni e molte mani mi hanno toccato e ammirato. Ovviamente tutte di persone rilevanti e altolocate. Sono il vanto più importante della nobile e antichissima casata dei Furlan. Ho la lama ricurva, affilata, e l’impugnatura tenebrosa e ruvida. Sono inimitabile e preziosissimo. Ho una caratteristica che mi contraddistingue dalle imitazioni scadenti che alcuni pensano di rifilare a compratori creduloni. La mia forma rimanda alla dinastia dei Furlan, fin dai tempi più remoti. Lo sfondo è rosso e dorato, con me al centro, dove sono in mostra nella mia posa migliore. Attorcigliati alla mia immagine, ci sono un serpente e un ramo d’ulivo. Infine, sullo sfondo, c’è un motto che la mia famiglia si scambia quando s’incontra, come un saluto o una parola d’ordine: ” Secare citrum gladium vexat ” ovvero ” Ciò che dà più fastidio ad un coltello è tagliare un limone”. Non so cosa voglia dire, però ne vado fiero. Inoltre, per meglio custodirmi, vengo riposto in una custodia di pelle color castagna, con sopra illustrato il nostro emblema. Ero veramente favoloso. Appunto, “ero “. In questo momento sono… non so bene dove.., è tutto buio.., però ricordo, come se fosse ieri, chi mi ha ridotto in questo stato. Vi porto indietro nel tempo, fino alla nascita del primogenito Giacomo Furlan II. Già al compimento di un anno, si poteva intuire il suo caratterino vispo e ribelle. Potrò anche essere un coltello, però dalla mia teca, vedo e sento tutto. Biondo, occhi glaciali e musetto dolce. Era adorato e riverito da molti e quando venne il momento di andare a scuola, i suoi genitori gli regalarono me, come aveva stabilito il testamento del nonno. Se me l’avessero chiesto, avrei rifiutato, ma purtroppo non potei oppormi. Lui, Giacomo, ne fu entusiasta, mi portava con sé ovunque andasse. Fu così che scoprii nuove parti della reggia a me sconosciute. Ero sempre stato in mostra nella sala dei trofei assieme a quadri, spade e oggetti preziosi con stemmi araldici.

Visitai le segrete, i giardini, molto spesso la cucina, però la maggior parte del tempo, lo trascorrevo in camera sua. Semplicemente magnifica. Aveva una sola grande finestra che faceva entrare luce calda nella stanza, stendardi svolazzanti e un letto magnifico, rustico, ma elegante, a modo suo. Mi

affascinava. Purtroppo non potei ammirarla per un lungo periodo perché il piccolo Giacomo ne combinò una delle sue. Ebbe un’altra delle sue idee “strepitose “. A suo parere mettere un po’ di paprica nell’arrosto sarebbe stato un piacevole diversivo alla monotona vita in una reggia. I parenti, dopo aver mangiato la pietanza e dopo aver scoperto l’imbroglio, presero immediatamente in mano la situazione. Poiché avvenimenti come questo erano già capitati in precedenza, decisero, per punizione, di sequestrarmi. Così io tornai nella mia noiosa, vecchia e ammuffita teca. Lui la prese, se si può, anche peggio di me e la scuola ne risentì. Il maestro aveva riferito che aveva cominciato a diventare irrequieto e tendeva ad allontanarsi dagli altri bambini. Insomma, si isolava e bofonchiava sempre tra sé e sé, come se stesse architettando un piano perverso. Non gli piaceva molto la scuola. Diventava nervoso – a sentire il padre – quando insegnanti e compagni gli rivolgevano la parola o si gli si avvicinavano.

-Dobbiamo trovare una soluzione! – affermò un giorno la madre

-Sì, e anche in fretta! ‑

Pensarono persino di mandarlo in una scuola privata per ragazzi di una certa “rilevanza”, però, alla fine, decisero di tenerlo nell’istituto in cui era.

Quel giorno, però, non potei sentire come continuavano, perché Giacomo aveva tolto la teca che mi proteggeva. Mi aveva afferrato con le sue manine umidicce e sporche, e si era messo a sbattermi a destra e a sinistra con noncuranza, correndo a perdifiato. Adesso potrei anche giurare di aver urtato un muro. Poi tutto, d’un tratto… buio!

Mi sembrò di trovarmi in una borsa perché era piena di libri e altri oggetti che in quel momento non riconobbi, ma che ora so essere stato lo zaino di scuola. L’oscurità durò forse un giorno. E a poco a poco intravidi una fievole luce, una miriade di voci urlanti rimbombarono e, subito dopo, tutto si spense. Probabilmente eravamo in una scuola. Adesso che ci penso, mi trovavo nelle tenebre come lo sono ora. Cominciai a ricordare sempre di più, d’altro canto avevo molto tempo per pensare. Ci stavamo muovendo. La luce si fece sempre più forte e iniziavo a sentire aroma di erba tagliata. Si, eravamo in una scuola, in quella di Giacomo, più precisamente fuori dalli edificio perché riuscivo a intravedere molto verde e dei sassolini. In quella situazione pensavo che la vista mi stesse giocando brutti scherzi. Il mio padroncino si mise davanti ad una porta e mi impugnò malamente. Infilò la mia splendida lama nella serratura e con un “clic” superò l’ostacolo. Purtroppo, così facendo la mia punta si incurvò. Mi parve di vedere un piccolo pulmino giallo. Stranamente, almeno in quel momento, si diresse verso una particolare lampada a petrolio. Era lugubre e sicuramente un po’ vecchia perché perdeva gocce nere. Non sembrava lui, aveva nei suoi occhi uno scintillio che non avevo mai visto. Avevo paura! Veramente paura!

Un piccolo ghigno deformò il suo solito, meraviglioso sorriso. Con un piccolo gesto fece cadere a terra la lampada. C’era una gigantesca macchia scura sul pavimento. Incominciò a stringermi troppo forte. Mi lasciò un attimo sul tavolino col fiato sospeso… sentivo i suoi passi allontanarsi e avvicinarsi pian piano. Subito dopo, lo vidi, e la sua espressione era cambiata. I suoi erano occhi vuoti, senz’anima, e il viso appariva freddo e determinato allo stesso tempo, come quello di chi è consapevole di fare qualcosa di irreparabile.

Ricordo che aveva in una mano una scatoletta e nell’altra teneva un fiammifero acceso. Da quel momento tutto risultò confuso. Giacomo lo buttò nella chiazza nera e da lì esplose una fiammata gigantesca rossa e oro, come lo stemma, del resto, poi… fumo, molto fumo… e Giacomo che piangeva e urlava spaventato. L’ultimo pezzetto di memoria è legato a lui che mi lancia nel fuoco. Poi di nuovo tutto buio.