Un’aria diversa

UN’ARIA DIVERA

Ruslan Visintin

Liceo “Magrini Marchetti”, Gemona del Friuli

 

Quando sono nato, fuori dalla finestra c’era qualcosa di bianco che scendeva dall’alto e copriva la terra: faceva freddo ed io ero avvolto in una soffice coperta di lana che puzzava di animale. Mentre mi guardavo intorno incuriosito, mi apparvero sopra due persone molto alte e grandi che mi sorridevano. Io ricambiai il sorriso, ma poco dopo mi misi a piangere perché facevano un rumore troppo forte e avevo paura. La persona con i capelli più lunghi mi sollevò e cominciò a ciondolarmi lievemente fino a quando non mi addormentai.

Quattro anni dopo mi sentivo già grande. Avevo imparato tante cose e ne andavo fiero: sapevo mungere le mucche e tagliare l’erba con una piccola falce, avevo imparato che c’erano quattro stagioni in un anno e che io ero nato d’inverno mentre nevicava. Vivevo in una piccola casa fatta tutta di legno insieme a mamma, papà, nonna e mio fratello di due anni in un piccolo villaggio circondato dalle montagne innevate. Io e mio fratello Aleksej ci divertivamo in ogni stagione dell’anno; d’estate ci arrampicavamo sulle balle di fieno, d’inverno facevamo i pupazzi e combattevamo con le palle di neve, d’autunno ci buttavamo sui mucchi di foglie secche del bosco vicino a casa nostra e in primavera giocavamo a fare i grandi prendendo il sole su letti fatti di paglia. Nel villaggio c’era solo un bambino della mia età che giocava con noi, Dimitri. Dimitri era strano perché aveva in casa sua tre cuccioli di gatto e li trattava male buttandoli nell’acqua o facendo loro altri dispetti che però a me e ad Aleksej non piacevano. In fin dei conti, la mia vita era bella e divertente, non c’era un giorno in cui non trovavo niente da fare.

Finalmente arrivò il mio quinto compleanno ed ero felice come un cane all’aperto, fuori c’era la neve e faceva freddo, il sole scaldava la faccia ma allo stesso tempo tirava un vento gelido che faceva diventare le guance rosse. La giornata passò velocemente tra giochi e battaglie di neve. Era arrivata la sera ed era l’ora dei regali; Aleksej mi regalò un po’ della sua minestra di verdure, nonna mi regalò un pupazzo che aveva fatto a maglia e mamma e papà mi regalarono un coltellino affilato che mi era piaciuto dal primo momento che lo avevo visto. Quello sarebbe stato uno dei giorni più belli della mia vita se non fosse stato per l’orribile notte che avrei dovuto passare. Era notte fonda quando mia madre e mio padre presero me e Aleksej, ci vestirono di fretta e ci portarono fuori, dove ci aspettava una macchina della polizia. Mamma e papà piangevano mentre entravamo in macchina e partivamo. Io li guadavo, ancora un po’ confuso, mentre loro andavano rimpicciolendosi sempre di più. Piangevo abbracciando mio fratello e quella notte capii che non li avrei mai più rivisti e che non avrei mai conosciuto mia sorella che da qualche mese aspettavamo.

L’unica cosa che quella notte ero riuscito a prendere era il coltellino che solo poche ore prima mi avevano regalato. Ci portarono in un istituto, dove c’erano altri bambini come noi, separati con forza dai loro genitori. Fui subito accolto da loro, che ogni giorno mi facevano dimenticare quell’orribile notte. Le giornate in quel posto erano sempre le stesse; la mattina ci si alzava e si andava a fare colazione, subito dopo giocavamo dentro o fuori a seconda della giornata, pranzavamo, giocavamo di nuovo e infine andavamo a dormire. Tutto questo, ripetuto ogni giorno per due anni consecutivi.

I due anni furono i più lunghi della mia vita, ma alla fine arrivò il giorno che cambiò la mia esistenza e quella di mio fratello per sempre. Una mattina mi alzai e, come sempre, feci colazione con i miei amici, ma quel giorno c’era

un’ aria diversa, quasi di festa e tutti parlavano dell’adozione. La mattina la passai fuori a giocare a palle di neve con gli altri, ma il pomeriggio fui chiamato dalle mie badanti che mi accompagnarono in una sala nella quale non ero mai entrato prima di allora e dove mi aspettavano Aleksej e due adulti, una giovane donna e un uomo pelato che mi vennero incontro dicendomi qualcosa in una lingua che non conoscevo. Quel giorno capii che quelli sarebbero stati i miei nuovi genitori e che con loro io e Aleksej saremmo stati felici. Dopo pochi mesi loro tornarono in istituto e ci portarono via da quel posto; viaggiammo in aereo per qualche ora e arrivammo in Italia, in un paese che era molto più grande del villaggio in cui prima abitavamo. Qui siamo cresciuti andando a scuola come i bambini della nostra età, conoscendo nuovi amici e imparando in poco tempo l’italiano.

Qui festeggiai, dopo tanto tempo, il mio settimo compleanno con una torta enorme e tanti amici. Ancora conservo il coltellino che mi avevano regalato i miei genitori in Russia e che ora uso abitualmente per fare qualsiasi cosa.

 

Questo racconto è tratto da una storia vera, la mia.