IL SOGNO DI TONY ELLIOT

 di Liliya Samiliv

IC Divisione Julia – Trieste

Orgreave, South Yorkshire, 18 giugno 1984.
Gli uccelli volano bassi: che sia un presagio di morte ?
L’idea di poter avverare il proprio sogno era impiantata nelle teste degli scioperanti, come un seme conficcato nella mente, pronto a germogliare, a diventare fronda, a crescere, a ramificarsi. Il piccolo seme era ormai diventato una pianta grande e robusta. Tony possedeva questo seme, la testarda utopia di coloro che lottano per ciò che viene ingiustamente negato. Ma quale strano meccanismo determina a un certo punto la rotta verso l’intransigenza, la cieca pazzia e la violenza? Quale scintilla o quale goccia porta dritti verso il precipizio?
Il ritmo cadenzato dei cavalli al trotto, le divise tutte maledettamente blu come la notte, i manganelli contro il vento … tutto questo, insieme, può far scoppiare la testa …
 
Ore 6:20
La massa di operai, raccolta in un muto rancore, occupava la strada, nel mezzo.
Non faceva nulla di male, lottava silenziosamente per il diritto al lavoro, alla dignità. Sui visi provati, però, c’era chi preferiva leggere altro: i solchi aspri della sfida, il ghigno amaro della provocazione. Eppure ragazzi, uomini e donne avanzavano si uniti, ma non minacciosi.
Nella foga della marcia, dopo qualche metro, venne quasi spontaneo accompagnare i passi con ritmo, battendo le mani. Ragazzi, donne, uomini procedevano con più lena, in una sorta di danza rituale.
Ai poliziotti quel corteo compatto non piaceva affatto: di solito sono loro ad aprire le danze. Un, due e tre, un, due e tre … così iniziò la danza della morte. In un attimo le uniformi si allineano a formare un muro e premono come una falange impazzita.
I manganelli alzati sferzano l’aria impotente.
I più giovani si tolgono le magliette in segno di resa, ma i poliziotti incalzano: in fondo, fanno solo il loro dovere. E gli uomini più maturi avanzano gridando e sputando la loro rabbia, seppelliti dalla fame e dal disprezzo. E le donne coraggiose sfilano a fianco dei mariti, condividendo pane e frustrazioni.
Insieme nonostante tutto e tutti.
Ma cosa accade quando il coraggio fa i conti con la vita? Qualche volta fa un inchino e si ritira. Oppure indossa il manto dell’eroismo. Talvolta si spinge troppo oltre e diventa lucida follia.
Tony era una testa calda. Non aveva mai imparato a tenere a freno la lingua, le mani, i coltelli. Sì, i coltelli.
Dalla più tenera età Tony ne faceva collezione. Ne aveva una gran varietà: serramanico, coltelli da caccia, militari … C’era persino una baionetta della Prima guerra mondiale. Non che fosse un ragazzino violento o strano, ma il cassetto pieno di lame sotto il letto lo faceva sentire meno vulnerabile. All’età di quattordici anni possedeva una cinquantina di coltelli, eppure la lama più tagliente restava la sua rabbia.
La mamma, sua e di Billy, se n’era andata con il primo vento freddo d’autunno.
Niente e nessuno aveva saputo impedirlo.
Un male oscuro l’aveva strappata via in un mese. Non era mai stato un bravo figlio: così aspro, così ruvido, così ombroso … Billy invece … Billy danzava in mezzo ai guai, mentre lui ci sbatteva contro, ogni volta.
Qualche volta gli mancava l’aria. Un rigurgito acido, misto di rabbia e di acuto rimorso, gli risaliva dal cuore alla bocca carnosa.
Era stanco, lo si vedeva dagli occhi che non brillavano più come una volta, quando la mattina si svegliava con il padre e il fratello. Occhi svuotati dalla stanchezza e colmi di giustizia. Tony sapeva bene come comportarsi eppure quel giorno perse il controllo.
— Non cedete, nonostante tutto! — esclamava con la voce graffiata dal rancore.

Ore 8:00
Le urla dei manifestanti, i richiami, le lacrime che solcavano taglienti le guance smarrite alimentavano un pensiero fisso: la giustizia. Tony non era mai stato uno che mollava e non l’avrebbe fatto proprio allora, anche se un rantolo da dentro cercava pietosamente di dissuadere la mano. Prese un vicolo e col coltello affilato – il numero dieci, un SIFF di produzione italiana, il suo preferito – che luccicava ai deboli raggi del sole di giugno, imbucò stradine che ormai conosceva a memoria. Impugnava il serramanico, grazie al quale da piccolo tagliava i fiori per donarli alla madre o sminuzzava il bacon a colazione, con un vigore inusuale, profondo e feroce. Quel coltello con il manico di osso portava con sé la schiettezza del bambino e la rabbia di un ragazzo alla deriva.
Tony proseguiva avanti, guardandosi le spalle, osservava pure le ombre che lo circondavano in modo da non ritrovarsi più solo. Poi uscì dal vicolo e sì ritrovò davanti ad un taxi che stava cominciando una corsa.
Provò un moto d’odio per quella vettura che accompagnava “i signori” dietro compenso. L’odio diventò una fiamma devastante, quando scoprì che a bordo della vettura sedeva lui, il traditore, la feccia della miniera di carbone: era un maledetto crumiro.
– Scendi, bastardo! — sbottò subito Tony, strattonando il passeggero attraverso il finestrino abbassato. .-Ehi, amico, che stai facen …! — Il giovane non riuscì a finire la frase che Tony gli inondò la bocca di sangue con un pugno. — Ascolta: io non sono più tuo amico, lo eravamo, ma ora non più! Tu hai tradito i tuoi compagni e fratelli. – E gli sferrò contro un altro pugno, poi un calcio e ancora una scarica di colpi al volto e al petto. Si fermò un istante per riprendersi dall’adrenalina che gli corrodeva le vene, quando si sentì afferrare le braccia da dietro. Il furore gli annebbiò il cervello.
In quella giostra impazzita non c’era tempo per prendere la mira …
In una frazione di secondo affondò la lama senza guardare, seguendo il pulsare del sangue nelle tempie, nelle vene. Colpì e ritrasse subito la mano con un moto di orrore.
A terra un corpo riverso. In piedi un giovane perduto.
La giostra impazzita li aveva sbalzati fuori.
Il giorno dopo i notiziari non parlavano d’altro:
GIOVANE TAXISTA PERDE LA VITA IN UNO SCONTRO CON I MANIFESTANTI. LA POLIZIA INDAGA.
Il giorno dopo in casa Elliot il silenzio parlava la lingua del dolore.

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