UNA LAMA COI FIOCCHI

PRIMA CLASSIFICATA

SOFIA CIMO’

I.C. Enrico Fermi – Casarsa della Delizia (PN)

Prima Classificata Sezione Scuola Secondaria di Primo Grado: Sofia Cimò

Sofia Cimò premiata dal Sindaco di Maniago Andrea Carli

UNA LAMA COI FIOCCHI

L’inverno era la stagione peggiore per chi viveva su un freddo marciapiede di una cittadina ancora più fredda, ma soprattutto lo era per lui. Nevicava il giorno in cui Teresa lo cacciò di casa intimandogli di non tornare mai più, e lui era stato un uomo di parola, l’amore per quella donna aveva superato il suo orgoglio. Quel giorno fiocchi pesanti tracciavano dolci segni in aria prima di accasciarsi al suolo e sciogliersi come il sale nel mare. Quel giorno lacrime ricche di paura, tristezza, delusione e rimorsi segnavano il volto di quel pover’uomo che iniziò ad essere un silenzioso ed estraneo spettatore del mondo. Ora ammirava lo spettacolo che si svolgeva attorno a lui, era appoggiato a un muro e soltanto un sottile strato di coperte separava le sue gambe dalla strada ghiacciata. Uno spettacolo insolito, in quel pezzo di Terra che si affacciava sul mare che lui chiamava amaramente casa. Ogni fiocco che cadeva gli riportava alla mente un ricordo doloroso, che gli stringeva il cuore e provoca il tipo di lacrime che tanto odiava, quelle del pentimento. Quel fiocco debole e grezzo rappresentava il suo cuore. Quel fiocco che si perdeva nell’aria e moriva prima di raggiungere il suolo era lui quando ingoiava l’amaro sapore dell’alcol. Quel fiocco piccolo e sporco era lui quando tornava a casa macchiato di vergogna. Quel fiocco perfetto e travolgente rappresentava gli occhi carichi di rabbia della moglie. Altri fiocchi erano ricordi, ma niente era più doloroso delle lacrime che gli appannavano la vista e gli dolevano quando le tratteneva, quelle gocce di mare che rappresentavano il silenzio e la lontananza di un cuore in frantumi. L’uomo strinse la presa sulla bottiglietta di liquore che teneva tra le mani e le nocche si sbiancarono Quando la avvicinò alle labbra accogliendo nelle sue

 

vene l’unica cosa che scacciava il dolore, estraniandolo ancora di più dal mondo come aveva fatto in passato. La sua vita si alternava a periodi di lucidità che lo mantenevano in vita a momenti in cui vagava per la città con un senso di leggerezza davvero invitante. In ognuno dei due momenti era protagonista dei pensieri delle persone che passavano di li, i bambini impauriti ma curiosi stringevano la mano della mamma e lo indicavano intanto che le labbra formavano la parola “barbone” come uno sputo di sangue e odio; gli adulti, che credevano di saperla lunga, passavano velocemente vicino alla sua casa trattenendo il fiato e lanciando imprecazioni di disprezzo, erano poche le persone che con pietà si fermavano a donargli una monetina, ma nonostante erano quegli atti di bontà che lo tenevano in vita, quest’ultima categoria di persone che lo ritenevano inferiore, era quella che odiava di più. Il liquido appena ingerito iniziò a scaldarlo e la mente allontanò piano piano i ricordi; l’uomo si mise più comodo e osservò la gente. Vide un uomo e una donna, lei sorrideva e guardava la mano di lui sulla sua guancia con amore. Poco lontani una ragazzina dai capelli rossi e gli occhi furbi stava per lanciare una palla di neve giovane e soffice al suo fratellino disteso a terra che imprigionava angeli nella neve, un cane abbaiava ai fiocchi che cadevano e si dimenava per scostarseli dal pelo, tutti reagivano a proprio modo a quel gelido inverno. Al pover’uomo piaceva osservare particolari, anche adesso incurante del fatto che l’alcol poteva distorcere la realtà, individui un scintillio poco distante da lui vicino ad una grondaia dove la neve evitava di cadere. Allungò la mano facendo scappare il freddo da sotto le coperte e lasciando uscire una scia di stanca sporcizia, ma riuscì ad afferrare l’oggetto ignoto. Nello stringerla riconobbe la fredda e affilata lama di un coltello che gli penetrò nella pelle quel tanto da fargli lanciare un gridolino di sorpresa e mollare la presa. Quando si è abituati a soffrire, è più facile stupirsi, che accettare un nuovo dolore. Il senzatetto alzò lo sguardo ma nessuno sembrava essersi accorto dell’improvviso obiettivo di un uomo senza futuro. Ci riprovò, questa volta il coltello era più vicino e riuscì ad afferrarlo dal manico che era di un legno resistente ben levigato; nascosto in un’insenatura notò un incisione “Coltelleria Maniago” e il cuore mancò un battito. Maniago. L’uomo fu attraversato da un potente senso di nostalgia nei confronti della sua vecchia casa, una coincidenza così gli provocava il desiderio di urlare al mondo tutto il suo stupore. Quelle armi osservate tante volte in una lontana giovinezza, appese nella vecchia casa del nonno. Armi che rapivano gli sguardi. Armi che affascinavano anche gli oppositori alla violenza. Quelle armi impeccabilmente perfette. Armi di casa. La lama era attraversata da un sottile strato di sangue, come un taglio e catturava il paesaggio che si estendeva all’infinito. Vide il mondo riflesso come in uno specchio, i fiocchi di neve parevano dipinti sul pezzo di acciaio, le persone erano apparentemente sagome indistinte, ma tra tutte quelle immagini fuse insieme, lui riconobbe una figura esile dai capelli corvini accarezzati dal vento e il viso segnato da rughe di una vita pesante, una vita resa meno vivibile a causa sua, di quel pover’uomo. Ora la lama era riempita dall’immagine di Teresa, incorniciata da fiocchi di neve sempre più numerosi. Ricordi. L’uomo allungò le dite callose e rovinate dal freddo verso la sua amata, provocandosi un altro taglio, accarezzò la sua guancia e il sangue cadde sordamente a terra, pettinò i suoi capelli e la lama si sporcò sempre di più., l’ultimo tocco lo riservò alle sue labbra “Teresa mia” sussurrò. “Perdonami” implorò. “Non succederà più” mentì. Le parole rimbalzavano come molle nella sua testa, parole familiari, parole che aveva pronunciato prima di essere cacciato, parole dette nella sua attuale situazione, con l’alcol nelle vene e l’insensibilità nel cuore, parole senza fondi di lealtà. Rinnovò la presa sull’arma e l’avvicinò all’altezza del cuore, tra le lacrime, l’uomo decise di togliersi la vita. Appena la punta perforò la pelle e altro sangue macchiò il coltello, quello iniziò a brillare e altre immagini colorarono la lama, ben diverse dalle precedenti: erano scritte.

“Tu, che col tuo sangue mi hai attivato,
Tu, che con le tue lacrime l’hai levato,
Tu, che con la morte vuoi soffocare quel pianto,
Tu, che solo solitudine hai accanto,
Tu, che di felicità ne hai avuto solo un assaggio
Tu, dovrai vivere la vita con coraggio.”

Il pover’uomo coinvolse la lama in un abbraccio bizzarro e si saziò con quel messaggio come dopo aver bevuto una minestra calda che brucia lo stomaco per giorni, soltanto promettendosi di ricordarlo per sempre. Un ultimo fiocco si distese sulla lama, ora non era più un ricordo, era luce.

Quella sera, solo quella sera, l’uomo apprezzò come non mai quella fredda cittadina, ammirando il mare infinito che solo una linea di terra sottile divideva dal cielo, e cercò di catturare più particolari possibili, vedeva le cose in modo diverso. La notte dormiva su un molo galleggiante apparentemente abbandonato sul mare, era vicino alla costa, ma alla sua mente appariva come entrare in un nuovo mondo avvolto dal silenzio, un mondo di cui lui soltanto possedeva la chiave. Osservava le stelle in cielo macchiare il mare scuro come petrolio, chiunque avrebbe visto quei piccoli sorrisi nel cielo illuminare la notte, non avrebbe mai più dubitato del buio. Quella sera, solo quella sera, l’uomo non invidiò i letti caldi e un tetto a coprire il cielo: lui non possedeva tutto ciò, ma in quel momento, cullato dalle onde, accarezzato dal vento e protetto dalle stelle, si sentiva di nuovo vivo.

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