Fetta di luna

SECONDO CLASSIFICATO

 ANDREA CAVALLARO

 I.C. “Divisione Julia” Trieste

Andrea Cavallaro 

FETTA DI LUNA

Accampamento Cheyenne, 29 novembre 1864

Noi eravamo lì, in quelle tende, unico riparo delle nostre fragili vite. Era tardi. La notte ci cullava come fossimo bambini nel grembo della madre.

Tutti erano rientrati nei propri accampamenti. l maschi adulti erano tornati stanchi dalla solita giornata di caccia. Ormai conoscevano il territorio a ‘memoria; si orientavano con i rami spezzati, le orme sul terreno e i segni colorati dipinti da loro stessi sulla corteccia degli alberi. Molti avevano divorato il pasto con una rabbia insolita, con una fame più urgente, come per prepararsi a una carestia inaspettata.

Poi prevalse la quiete, che ci accompagnò tutti nelle nostre tende. Il sonno ci vinse l’uno dopo l’altro, senza che opponessimo la minima resistenza. Per me lo stato di dormiveglia si prolungò alcuni minuti sospesi nella notte, fatali.

Udivo i versi degli animali che cantavano il loro cupo lamento, qualcosa di simile ‘a una tetra ninna nanna. Erano versi sempre uguali, cadenzati. Ma l’aria che respiravo lentamente sembrava diversa: era più calda e profonda, a tratti mossa da un soffio di vento tagliente proprio come una lama appena affilata.

O Grande Spirito,

la cui voce ascolto nel vento,

il cui respiro dà vita a tutte le cose,
ascoltami! lo ho bisogno
della tua forza e della tua saggezza.

Lasciami camminare nella bellezza

e fa’ che i miei occhi sempre guardino

il rosso e purpureo tramonto.

 

Mi trovai con gli occhi incollati sulla parete liscia del mio tepee e le braccia incrociate sul petto quando all’improvviso il coro degli animali fu turbato dallo scalpitio di una mandria impazzita. Accostai l’orecchio alla terra: il ritmo degli zoccoli si faceva incalzante.

Schiocchi di frusta costringevano i cavalli ad allungare il passo, facendo loro assumere un’andatura più rapida, per la fretta di raggiungere una meta ben precisa: ma quale?

Quella musica distante diventò sempre più forte. Chiusi gli occhi per tre volte,

mi ritrovai ancora

Chiesi a mio nonno: “È solo un sogno?”

Mio nonno disse: “SÌ!”

Nel dormiveglia i pensieri galoppavano nella mia mente come ombre funeste.

Al soffio del vento seguì il tuono. Al tuono un lungo lamento: non era quello delle voci della prateria. Mi sollevai sulla branda, con gli occhi fissi sull’acchiappasogni, appeso al soffitto, sempre più distante …

Acchiappasogni di legno chiaro,

gira, gira, ruota piano.

Acchiappasogni di perle e corde,

scaccia le ombre della notte.

Acchiappasogni fatto di piume,

Fammi volare verso il fiume

Sorpresi il nonno all’ingresso del tepee, con la schiena, già curva per il peso delle tante lune, inarcata verso il suolo. Grande Falco era pronto. Con un movimento fulmineo, estrasse dal mocassino il compagno di tante sortite: 

Fetta di Luna, il suo coltello, quello che sarebbe stato mio nel giorno dell’iniziazione. Quante volte avevo osservato il nonno con Fetta di Luna tra le mani ruvide ,.. Era un’arma tagliente, con la lama lievemente ondulata a formare un sorriso triste. Con Fetta di Luna Grande Falco apriva la carne di bisonte, riparava la tenda, intagliava le frecce. Qualche volta danzava intorno al falò, brandendo quella lama d’argento come fosse un trofeo da offrire alla Madre Terra. Se solo avesse voluto, con Fetta di Luna Grande Falco avrebbe strappato lo scalpo di molti nemici …

Grande Spirito,

ci hai insegnato come vivere, lavorare,

dove andare e cosa mangiare.

Ci hai dato semi da piantare e coltivare.

Ci hai dato i bisonti, il cervo e il coyote.

Fa’ in modo che io possa essere sempre pronto a venire da Te con le mani pulite

e lo sguardo leale.

Non era ancora arrivata l’alba e la situazione era già degenerata. Il nostro villaggio ora appariva come l’acqua di una pentola sul fuoco: bolliva e ribolliva.

I nostri maschi adulti, in una frenetica danza, afferravano archi, coltellini affilati come la voglia di sopravvivere.

Gli anziani uscivano allo scoperto. Mio nonno impugnava Fetta di Luna con insolita ferocia: a me era rimasto il fodero con i sacri decori. A me era rimasto un ricordo lontano … Ma l’odore del sangue era vivo e presente.

Fu un generale di vent’anni,

occhi turchini e giacca uguale.

Fu un generale di vent’anni,

figlio di un temporale.

L’ordine era partito secco come il primo colpo di fucile. Donne e bambini si rifugiavano da tutti i lati, ma i Visi Pallidi li braccavano senza pietà.

In quella confusione, tra urla e pianti, la mia gente fuggiva verso l’ignoto.

Le donne raccattavano tutto il possibile: pelli, pentole, coperte …

I bambini seguivano con i loro piccoli cuori chiusi nel petto e gli occhi sbarrati incontro al vento.

Tutti fecero quello che era il loro dovere.

Negli occhi turchini del generale leggevo soddisfazione e orgoglio per lo sviluppo dell’assalto. Il suo sguardo di ghiaccio tagliava colpevole, in piccoli pezzi, le nostre vite, nostri sogni, i nostri desideri. Negli occhi bui di mio nonno leggevo una storia di dolore e di rabbia. Il suo volto rugoso prometteva vendetta.

Grande Falco uscì senza parlare.

Lo seguivo con il cuore impazzito; pregavo per lui, mi inginocchiavo per lui, mi disperavo lui, ma purtroppo gli uccelli notturni volavano da sinistra: un presagio di morte. Mi affacciai appena fuori dalla tenda, ma poi mi ritirai subito. Sentivo una fitta al petto. La testa mi faceva male, scoppiava. Mi bastò solo un istante fatale… guardavo con angoscia quei corpi a terra: si tenevano il petto, le braccia colanti sangue, un sangue vivo, fresco, fraterno. Rivoli scarlatti coloravano un terreno ormai irriconoscibile, quasi straniero. Piedi innocenti lo calpestavano: tra gli altri, anche i miei. Fu allora che sollevai Io sguardo, indurito come quello di un totem. Mio nonno era a terra, agonizzante. Proprio lui, che era sempre stato solido come una montagna. La mia montagna. Un filo di voce, spezzato dal dolore, sibilò: “Questo ora è tuo. Anzi tempo.” Fetta di luna passava da un pugno calloso alla mia mano aperta.

Fetta di luna aveva una lama torbida, grondante siero scuro. Per la prima volta aveva ucciso.

Osservai da lontano arrivare quel demone dagli occhi di cielo. Guardava dall’alto, orgoglioso chissà di che, forse della prestazione del suo manipolo furioso.

Anche lui alzò gli occhi: contemplava indifferente quel campo di sangue, quel fiume rossiccio, quell’inferno.

L’impulso schiacciò la ragione: come un piccolo falco, con un balzo aggredii l’uniforme blu alle spalle.

Con un colpo secco recisi IS carotide del mio nemico. Basta una manciata di secondi per stroncare una vita. Basta così poco …

La mano aperta strinse il pugno: dentro solo rosso sangue. Un nuovo impulso disperato mi portò sulle rive del Big Sand Creek, il nostro sacro fiume.

L’acqua era fredda. Galleggiavano corpi mutilati, galleggiava la colpa. La mano cercò l’acqua, ma ne uscì ancora lorda.

Ero diventato uomo anzi tempo. Ero diventato un uomo? Ero un assassino.

Fetta di luna scivolò lentamente sotto il lenzuolo rosato del mio fiume.

Grande Spirito,

ci hai insegnato come vivere, lavorare,

dove andare e cosa mangiare.

Ci hai dato semi da piantare e coltivare.

Ci hai dato i bisonti, il cervo e il coyote.

Fa’ in modo che io possa essere sempre pronto
a venire ancora da Te con le mani pulite

e lo sguardo leale.

 

Così sia.

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